Si muove il metronomo di Calabria. E’ un pendolo elettorale che ogni 5 anni si sposta a tempo da un campo all’altro. E ieri, infatti, ha mulinato con tono vivace verso la destra che si riprende la regione. Il gap è minore dei 40 punti con cui il centrosinistra si era imposto nel 2014. Ma conferma il trend per cui nessuna coalizione di governo esce riconfermata nell’elezione successiva.

Gli exit poll sono inappellabili. Con il 51% la nuova presidente è Jole Santelli, inner circle berlusconiano, deputata di Forza Italia. Distanzia di una ventina di punti il centrosinistra. E sarà la prima donna alla guida della regione in 50 anni. Un finale già scritto. Il film elettorale aveva come sicuro epilogo l’affermazione della destra. E non solo per i sondaggi e per il risultato delle Europee. Perché era una sensazione palpabile. La destra era arrogante, sapeva di aver la vittoria in pugno. Bastava farsi un giro per le strade dei capoluoghi di provincia per testare la sua tracotanza con i manifesti a tappeto a confronto con l’aria di smobilitazione del campo avverso. Mentre la destra era in piazza con i suoi leader, il centrosinistra parlava al chiuso con le seconde linee. Neanche le sardine hanno guizzato a queste latitudini. Matteo Salvini ha imperversato ovunque, in un’inedita cavalcata senza ostacoli in terra di Calabria.

Il centrosinistra paga il disastro del governo uscente Mario Oliverio. Ma non solo. La sconfitta ha motivazioni più complesse. Allude a una campagna elettorale in cui ha abdicato a ogni ipotesi di cambiamento. Il «rinnovamento» non lo incarnava di certo Giacinto Callipo detto Pippo, 75 anni, alla seconda prova elettorale in 10 anni. Un uomo di destra per sua stessa ammissione. E’ lo stesso errore politico fatto in Umbria. I fini strateghi dem pensavano che facendo campagna acquisti tra i conservatori avrebbero vinto nella gara elettorale.

Ma la Calabria non è un calciomercato. E l’astensione di tanti a sinistra è il sintomo del rifiuto per un padrone, criticato dalla Cgil, con un processo in corso per un caso di morte bianca, che non faceva sognare e sapeva parlare solo il trito linguaggio qualunquista dei grillini. Per fermare l’onda reazionaria salviniana ci volevano ben altri nomi, credibili e con un’idea alternativa di società. L’incitamento all’odio e al razzismo, il revanscismo beghino con il corollario medievale di santi e rosari andava fronteggiato in altro modo in queste terre. Un totem come Mimmo Lucano non è stato neanche preso in considerazione dal Nazareno. Salvo poi chiedere, respinti dall’ex sindaco, di fare una passerella a Riace alla vigilia del voto.

Ma la valanga della destra affonda anche i 5 stelle. Storicamente deboli nel voto amministrativo perdono la loro scommessa neutralista. Non sarebbero neanche stati utili a una vittoria di Callipo e lottano disperatamente per superare l’hard quorum dell’8%.

Una caporetto, insomma. In Calabria alle Politiche sfiorarono il 45%, oggi galleggiano come i piccoli partiti della Prima Repubblica. La guerra interna ai grillini di Calabria, combattuta a colpi di veline contro il candidato Francesco Aiello, ha poi acuito il flop. E’ vero che migliorano rispetto al 4,3% del 2014 ma lo scenario quest’anno è diverso. Sono forza di governo da 2 anni e neanche il cosiddetto reddito di cittadinanza, distribuito a iosa a in Calabria, ha evitato l’emorragia.

Anche il geologo Carlo Tansi lotta con le unghie per superare lo sbarramento con la sua coalizione civica. Raccoglie un voto di protesta e approfitta della crisi verticale dei grillini. Per lui sarà batti quorum per tutta la notte. Il tasso d’astensione s’attesta al 56%, identico persino nei decimali a quello di 5 anni fa. E’ la dimostrazione che qui votano (e non votano) sempre gli stessi. Qual che cambia è il verso del metronomo. Lo dettano i trasformisti di professione e i politici della transumanza. Callipo entrerà, comunque, in consiglio come miglior secondo. Ma lui poteva già dirsi soddisfatto. La pubblicità gratuita al suo tonno se l’era già assicurata.