Dopo una lunga settimana di esitazione, il capo dipartimento della Protezione civile, di buon mattino, prende un aereo da Ciampino e atterra nell’inferno di Calabria. Fabrizio Curcio il fuoco dovrebbe conoscerlo bene. La sua carriere inizia e si sviluppa per 10 anni proprio tra le fila dei pompieri. Da qui il passaggio nel 2007 agli uffici del palazzo romano di via Ulpiano, prima come vice di Guido Bertolaso e nel 2014 di Franco Gabrielli. Nel 2017 diventa Capo Dipartimento ma si dimette dopo pochi mesi per andare ad occuparsi della terra dei fuochi a Caserta. A febbraio 2021 Giuseppe Conte lo chiama di nuovo a ricoprire l’incarico di Capo Dipartimento.

IN PIENO DISASTRO, il sindaco di Reggio, Giuseppe Falcomatá, aveva pregato Draghi di venire a passare il ferragosto nella città dello stretto per verificare l’entità dei danni. Da Roma, hanno preferito mandargli Curcio. Che, al termine della riunione in prefettura, si lascia andare a giudizi alquanto ottimisti «stiamo registrando un certo miglioramento della situazione degli incendi, anche se il dato va preso con estrema cautela. Abbiamo cercato di gestire al meglio questa fase operativa e possiamo dire che in Calabria tutte le richieste di intervento sono risultate gestibili e coperte». Vallo a spiegare agli allevatori, agli agricoltori, ai vignaioli, ai coltivatori dei bachi da seta, agli operatori turistici, ai sindaci dell’area grecanica in Aspromonte letteralmente devastata. E vallo a spiegare ai vigili del fuoco che strenuamente provano da giorni a difendere il territorio e fermare il disastro. Nell’assoluta carenza di mezzi e di uomini, con una pianificazione delle emergenze inesistente.

Gli ettari andati distrutti, ad ora, sono oltre 11mila, una catastrofe di fuliggine dal Pollino allo Stretto, con decine di roghi ancora attivi. Tutta colpa di una evanescente prevenzione, di una latente manutenzione, di una carente cura del territorio. Per cui suonano stonate le affermazioni di Curcio, secondo cui «prima pensiamo agli incendi, e poi penseremo a tutto il resto. Questo è il momento dell’emergenza, alla manutenzione e prevenzione dei boschi penseremo dopo. Per il momento abbiamo dichiarato lo stato di mobilitazione nazionale. Decisione che consente di utilizzare anche forze da fuori regione e che dà la possibilità ai sindaci di lavorare sulle somme urgenze».

I tre canadair dalla Francia sono intanto arrivati prima di lui. Malgrado la barca di sodi stanziata per Calabria Verde in tutti questi anni la regione è costretta a girare con il cappello in mano a chiedere aiuto ai cugini transalpini e alle regioni del nord. E mentre la Calabria brucia l’ineffabile presidente Nino Spirlì decide di riaprire la caccia in mezzo a carcasse di animali e vegetazione distrutta.

WWF E LIPU sono sul piede di guerra. «A parte il danno diretto della morte di migliaia di animali e dei loro piccoli nati, gli incendi hanno ridotto e frammentato notevolmente gli habitat idonei, costringendo la fauna a concentrarsi in aree più ristrette e aumentando così i fattori che ne accrescono la mortalità. Consentire la caccia come se nulla fosse accaduto è dunque un atto scellerato e inconcepibile». Gli ambientalisti puntano il dito contro la giunta regionale e gli assessorati all’agricoltura e all’ambiente. «Sono coloro che prima hanno lamentato i danni ingentissimi e l’autentico “disastro ambientale” che ha colpito la regione, e che poi, pur di fronte alla catastrofe sotto gli occhi del paese, non hanno inteso modificare minimamente un calendario venatorio che prevede addirittura l’apertura anticipata della caccia. Come se gli animali, anziché essere stati bruciati dalle fiamme, si fossero ulteriormente moltiplicati; come se lo spazio a loro disposizione, piuttosto che ridursi in seguito agli incendi, si fosse allargato a dismisura».

Tra 40 giorni in Calabria si vota, e la caccia al voto dei cacciatori è appena iniziata. Con buona pace degli incendi e dei “disastri ambientali”. Tanto per quelli la prescrizione non è stata eliminata.