È stato un fine settimana ricco di successi diplomatici per il governo di Benyamin Netanyahu. Il viaggio a sorpresa del primo ministro israeliano in Oman, venti anni dopo quello effettuato da Shimon Peres, su inviato del Sultano Qabus, conferma che alle monarchie sunnite del Golfo piacerebbe sdoganare subito Israele anche in mancanza di relazioni diplomatiche ufficiali con lo Stato ebraico e una soluzione per il popolo palestinese. Persino più significativa è la libertà assoluta con la quale si è potuta muovere ad Abu Dhabi dalla nazionale di judo israeliana, accompagnata dalla ministra dello sport, Miri Regev. Quando due giorni fa Sagi Muki ha vinto la medaglia d’oro nella categoria 81 kg, nel palazzo dello sport di Abu Dhabi è stata issata la bandiera israeliana con l’accompagnamento di “Hatikva”, l’inno nazionale. Appena un anno fa gli sportivi israeliani si erano presentati nel Golfo con la bandiera del Cio. «Sagi, con la tua vittoria hai contribuito allo sforzo diplomatico di Israele nel mondo arabo. Congratulazioni», ha scritto Netanyahu nel messaggio inviato all’atleta. Il premier è soddisfatto. Questi sviluppi provano, a suo dire, che una parte del mondo arabo è pronto a firmare trattati di pace con Israele mettendo da parte le aspirazioni all’indipendenza e alla libertà dei palestinesi che per diversi decenni sono state il perno sul quale ha ruotato qualsiasi ipotesi di accordo tra Israele e paesi arabi. Tuttavia non tutto va nella direzione indicata da Netanyahu. L’indebolimento dell’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, uscito con le ossa rotte dalla vicenda del brutale assassinio, lo scorso 2 ottobre, del giornalista dissidente Jamal Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul, mette a rischio i disegni israeliani nella regione e allenta la pressione sull’Iran. Bin Salman è un pilastro del piano di un “nuovo” Medio oriente che hanno in mente il presidente Usa Trump e Netanyahu.

«L’evoluzione del caso Khashoggi è fondamentale e Israele sta cercando di capire se il principe saudita sarà in grado di riemergere salvo da una crisi in cui rischia di annegare e sparire», ci dice Eytan Gilboa, un esperto del centro BeSa dell’Università Bar Ilan di Tel Aviv, considerata vicina al governo di destra in carica. «Per Israele e anche gli Usa – aggiunge Gilboa – Mohammed bin Salman ha i titoli giusti per trasformare i fondamentali del quadro mediorientale. Non è un mistero, in casa israeliana si guardava fino a qualche settimana fa all’erede al trono come a un giovane leader capace di attuare politiche del pugno di ferro contro Tehran e la presenza iraniana in Siria e allo stesso tempo di esercitare forti pressioni sui palestinesi in modo da costringerli a ritornare alle trattative con Israele da una condizione di maggiore debolezza». A Tel Aviv ora ci si domanda cosa sarà dell’”Accordo del secolo”, il “piano di pace” dell’Amministrazione Trump per israeliani e palestinesi di cui si attende l’annuncio da mesi. Mohammed bin Salman nella visione di Usa e Israele deve creare le condizioni per il successo del piano, promuovendo una soluzione “regionale” sottraendo ai palestinesi il diritto di determinare il loro destino.

In casa palestinese si vedono le cose in modo diverso. «È un errore dare un peso eccessivo allo sdegno dei paesi occidentali o alla minaccia di sanzioni contro Riyadh», avverte l’analista e docente universitario Ghassan al Khatib «l’omicidio (di Khashoggi) ha avuto un forte risalto perché la Turchia, avversaria della monarchia saudita, continua a fare rivelazioni sull’accaduto spingendo gli altri paesi a tenere sotto pressione Riyadh». Tuttavia, prosegue al Khatib, «Gli Usa e gli europei, alla luce delle strette relazioni economiche e strategiche che hanno con i sauditi, cercheranno una via d’uscita alla crisi che salvi i Saud e Mohammed bin Salman». Quanto all’“Accordo del secolo” di Trump, conclude l’analista, «è già morto, ormai è alle spalle, perché i palestinesi lo rifiutano con forza e i paesi arabi, sia pure con le loro ambiguità, non possono isolarli completamente come vorrebbero americani e israeliani. Le popolazioni arabe non lo accetterebbero».