Uno spettacolo poderoso, nel quale l’abbraccio tra la danza e una partitura celeberrima quale è la Nona Sinfonia di Beethoven ci conduce nel contrasto tra conflitto e pacificazione. È La Nona di Roberto Zappalà, pezzo per dodici danzatori in dialogo con il cult beethoveniano nella trascrizione per due pianoforti di Franz Liszt. Titolo tra i maggiori del coreografo catanese, ospite della 32a edizione del festival MilanOltre all’Elfo Puccini di Milano.

Un pezzo di respiro internazionale per la qualità densa della scrittura coreografica, per la ricchezza del linguaggio del corpo, per l’esecuzione musicale live che vede sullo sfondo della danza due pianoforti a coda contrapposti. Un titolo esemplare di come oggi si possa parlare di coreografia in Italia, con un pezzo ben strutturato, sostenuto da un pensiero che, felicemente, vibra nei corpi, non solo nei testi di accompagnamento.

La scena è sfruttata nella sua profondità, senza fondali, con oggetti appoggiati sui cassoni: candelabri color rame, una grande mano stilizzata, una enorme croce su cui sono montati i fari. L’inizio è nel silenzio. Il corpo, l’uomo, prima di tutto: una sequenza in crescendo, eseguita da una sola donna alla quale si aggiungono mano mano tutti i danzatori. Un prologo sull’umanità che si presenta.

I due pianisti attraversano la scena, si siedono ai loro pianoforti. Beethoven dà il via a un viaggio universale. Avvolti da fasci di luce a contrasto, i danzatori in costumi dai toni aranciati da un movimento musicale all’altro formano una comunità di individui. È un racconto fatto con la scrittura coreografica e la sua relazione con la musica, corse nello spazio che creano dentro un moto circolare duetti, terzetti, soli in continua mutazione verso un’unità di gruppo. L’arrivo di uno showman che si rivolge al pubblico, se di per sé non è una soluzione performativa nuova, porta l’attenzione su questioni cruciali del nostro tempo. Zappalà: «Oggi il mondo è globalizzato e, se c’è una divisione planetaria, è brutalmente con il mondo arabo/mussulmano. La pacificazione universale alla quale aspirava Beethoven, se fosse vivo oggi, andrebbe in questa direzione».

Beethoven sprona verso una danza che incarna lo scioglimento dei confini, la caduta delle barriere, la fine della contrapposizione di fedi e confessioni. L‘Inno alla gioia (nello spettacolo interviene il soprano Marianna Cappellani) sospinge i corpi in una meravigliosa danza collettiva, in cui il bacio rivolto al mondo intero dall’inno di Schiller rivive di una nuova luce. Molti applausi per uno dei titoli migliori del festival: da far girare.