I Berberi costituiscono una percentuale non trascurabile della popolazione algerina (tra il 20 e il 30 %), ma sono i grandi assenti dai dibattiti in corso sul futuro di questo paese. Concentrati in massima parte nelle regioni montuose della Cabilia e dell’Aurès, nonché in diverse località dell’interno, sono da sempre resi “invisibili” dalla politica ufficiale che fa dell’”arabità” del paese un dogma intoccabile.

PER I BERBERI ALGERINI che in questi giorni si uniscono ai loro compatrioti per manifestare contro un potere oppressivo e corrotto, l’antecedente di riferimento non sono tanto le dimostrazioni di ottobre 1988, che costrinsero il regime ad aprire al multipartitismo, quanto l’imponente manifestazione che portò ad Algeri un fiume di oltre un milione di persone il 14 giugno 2001.
Anche allora i partecipanti erano giovani, le parole d’ordine chiedevano democrazia e le intenzioni erano pacifiche, ma in quell’occasione il regime reagì con la violenza, scatenando forza pubblica e bande di casseurs che si accanirono sui manifestanti e sulle cose, trasformando una giornata storica in un bagno di sangue.

Quella sera, il primo ministro Ali Benflis proclamò il divieto di ogni manifestazione – rimasto in vigore fino a oggi – addossando ogni colpa ai manifestanti. In ciò ebbe buon gioco perché si trattava di berberi della Cabilia, che la propaganda del regime dipinge invariabilmente come empi, sediziosi e pericolosi per l’unità del paese. Purtroppo anche al di fuori dell’Algeria furono ben poche le voci che raccolsero il messaggio di quella “primavera”, sbocciata con dieci anni di anticipo, ed essa venne colpevolmente ignorata e isolata per il terrore che contestare il pouvoir assassin di Algeri (più di 120 giovani uccisi in quei giorni) equivalesse a consegnare il paese agli islamisti.

IL RITRATTO DENIGRATORIO dei Berberi dell’Algeria si scontra con i dati di fatto inoppugnabili: quanto a patriottismo, essi non devono ricevere lezioni da nessuno, se si pensa che tre quarti dei caduti della guerra di liberazione erano cabili (mentre il clan che prese il potere dopo l’indipendenza se ne stava al sicuro al di là delle frontiere); quanto al pericolo di derive antidemocratiche e islamiste, basta ricordare che la Cabilia fu l’unica regione dove, nelle elezioni annullate del 1991, il Fis venne sonoramente sconfitto, e che le lotte dei Cabili per la democrazia si caratterizzano, fin dal 1980, per il carattere pacifico e non violento. Come quando, nel 1995, un compatto sciopero di studenti e professori durato tutto l’anno scolastico riuscì a piegare il regime ottenendo l’insegnamento del berbero nelle scuole.

AL RIFIUTO DEL POTERE di accogliere le richieste di democrazia che i manifestanti intendevano trasmettere, la Cabilia ha risposto prendendo sempre più le distanze da uno Stato che si dimostrava incapace di ascoltare la sua voce, e dal 2001 si è di fatto autoesclusa dalla vita pubblica nazionale, con massicce percentuali di astensione a tutte le successive elezioni. Il 2001 ha visto anche la nascita del Mak, Movimento per l’«autodeterminazione» della Cabilia, che negli ultimi anni sta guadagnando consensi a spese dei due partiti storici, il socialista Ffs e il democratico Rcd. Questi ultimi, malgrado il loro radicamento nella regione, si sono sempre sforzati di rappresentare le istanze dell’intero paese.

Ma il fatto che questi partiti di opposizione laica e democratica non siano mai riusciti ad allargare la loro base elettorale al resto dell’Algeria è sintomatico della diffidenza che il resto del paese nutre nei confronti dei Cabili. Un muro di separatezza che oggi rischia di rendere problematica la partecipazione dei Berberi al movimento di contestazione del regime iniziato a febbraio.

DA SEMPRE I CABILI rappresentano un pericolo, la sola vera opposizione, fin da quando, nel 1962, Ait Ahmed si oppose al colpo di stato militare di Ben Bella. E mentre il capo di stato maggiore dell’esercito Gaïd Salah avoca a sé e alle forze armate il compito di gestire la situazione, essi non intendono accettarlo, ricordando come Abane Ramdane, uno dei capi della rivoluzione, sia stato assassinato dai suoi stessi compagni nel 1957 proprio per avere sostenuto il primato del politico sul militare nella futura Algeria indipendente.

IL POTERE IN CARICA cerca di giocare con spregiudicatezza la carta della divisione. Un isterismo anti-cabilo viene alimentato demonizzando tutte le figure maggiori di questa opposizione democratica, come Ferhat Mehenni o Said Sadi (rispettivamente leader del Mak e dell’Rcd), arrestando militanti ed esponenti della società civile, vietando l’esposizione di bandiere «berbere» o «cabile» e bloccando l’accesso alla capitale ai manifestanti provenienti dalla vicina Cabilia.

I motivi di tensione non mancano, ma fino ad ora il rifiuto del regime è ancora l’obiettivo condiviso da tutti. C’è da sperare che questa unità di intenti si mantenga a lungo.