Come atto di «buona volontà» verso l’amministrazione Usa, Israele «limiterà» la costruzione di nuove case per coloni ai blocchi principali di insediamenti ebraici già esistenti in Cisgiordania e alle «aree ad essi adiacenti». È la “concessione” che il premier Benyamin Netanyahu ha fatto all’Amministrazione Trump dopo aver avuto il via libera americano all’edificazione di una nuova colonia ebraica nei pressi di quella di Shilo, in Cisgiordania, e nella quale saranno insediati gli abitanti dell’avamposto di Amona, evacuato a inizio anno. A Gerusalemme Est, la zona palestinese occupata nel 1967, le autorità continueranno ad agire senza limiti. Resta incerto l’annuncio del trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Gli Stati arabi alleati di Washington premono per congelarlo ma non è detto che Trump li stia ad ascoltare. A fine maggio, in occasione delle celebrazioni israeliane per la “riunificazione” di Gerusalemme, il nuovo ambasciatore americano David Friedman potrebbe avere il privilegio di annunciare il trasferimento nella città santa di alcuni uffici della sede diplomatica statunitense.

Di questo e altro scrivono i media israeliani, in riferimento soprattutto alla riunione di gabinetto di giovedì sera durante la quale il primo ministro ha riferito le conclusioni dei negoziati con i funzionari americani. I delegati di Netanyahu e Trump hanno deciso tutto da soli, lasciando fuori dalla porta il diritto internazionale, lo status di territori occupati di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, la «delusione» e «l’allarme» del Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, e naturalmente le proteste palestinesi. «Si tratta di un furto mascherato da un contenimento delle costruzioni», ha commentato il centro israeliano per i diritti umani, B’Tselem.

Con l’approvazione dell’Amministrazione Trump, il governo israeliano avrà campo libero per costruire senza freni a Gerusalemme Est e nelle larghe porzioni di Cisgiordania dove sono situate le maggiori concentrazioni di colonie. Alla destra messianica non basta. L’accordo con gli Usa accettato da Netanyahu esclude, almeno in teoria, gli insediamenti più piccoli e isolati, di solito quelli più “militanti”, da futuri piani di espansione. È un tradimento per chi, come il partito nazionalista religioso Casa ebraica, parte della coalizione di governo, vuole costruire ovunque per motivi ideologici e politici, in modo da affondare l’idea di uno Stato palestinese, sia pure minuscolo e senza sovranità. Ieri il deputato di Casa ebraica, Betzalel Smotrich, astro nascente dell’ultranazionalismo, ha accolto con rabbia il “contenimento” approvato da Netanyahu e ha accusato il primo ministro di non rispettare le promesse che aveva fatto ai coloni in passato. Secondo Smotrich il governo farà marcia indietro rispetto ai piani di edilizi, per molte migliaia di case, nei Territori occupati annunciati a raffica dopo la vittoria di Trump alle presidenziali Usa. «Dovremo organizzare un monitoraggio, non possiamo lasciare che Netanyahu lasci svanire nel nulla le costruzioni già approvate», ha protestato. Così si passa dal monitoraggio dell’espansione delle colonie, tutte illegali per il diritto internazionale, al monitoraggio per garantire che possano espandersi ovunque. Casa ebraica ha chiesto una riunione del comitato nazionale per la pianificazione edilizia. Invece l’opposizione parla di capitolazione del sionismo a vantaggio del messianesimo. Netanyahu, dice l’ex ministro laburista Amir Peretz, con la sua politica ha di fatto aperto la strada allo Stato unico per ebrei e arabi e decretato la fine dello Stato ebraico.

Di fronte a ciò i palestinesi appaiono divisi, con la leadership a Ramallah che, contro il buon senso, crede di poter ottenere da Donald Trump ciò che non è riuscita ad avere nemmeno da Barack Obama. Ieri mentre Hanan Ashrawi del comitato esecutivo dell’Olp accusava il governo di Netanyahu di portare avanti una politica di «colonialismo, apartheid e pulizia etnica» nei Territori occupati, dall’entourage del presidente Abu Mazen facevano sapere che il leader palestinese manterrà una posizione di basso profilo in attesa di entrare nella Casa Bianca tra circa un mese.