La buona accoglienza: un anticorpo efficace contro il razzismo. È inevitabile che l’arrivo e la presenza dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati divida e squarci il nostro paese e l’Europa in universi contrapposti? È proprio necessario che le strategie e le scelte politiche e istituzionali debbano lasciarsi attraversare e condizionare dalle pulsioni xenofobe? La domanda torna attuale dopo i fatti di questi giorni.

Le barricate ignobili e razziste di Gorino contro l’accoglienza di 12 donne e 8 bambini richiedenti asilo non sono un caso isolato. Il rifiuto dei richiedenti asilo si è espresso già in altre forme a Capalbio, Savona, Marino, Contrada San Nicola, Burcei, Chieve, Santa Croce sull’Arno, sino ad arrivare a quello più noto di Tor Sapienza, a Roma, del novembre 2014. Sullo sfondo le voci di amministratori che si rifiutano di ospitare centri di accoglienza sul proprio territorio o dichiarano di aver raggiunto livelli di presenza “insostenibili”, ultimi i sindaci di due Comuni importanti, Firenze e Prato, della rossa Toscana.

Tra le dichiarazioni rassicuranti del governo, la crescita delle proteste razziste e xenofobe a livello locale e le loro rappresentazioni mediatiche, le disfunzioni e le criticità quotidiane delle politiche di accoglienza italiane tendono a restare sullo sfondo e ad essere rimosse.

Servirebbe invece affrontarle e esaminarle in dettaglio per poter accogliere bene le circa 168mila persone che ad oggi sono ospitate nel nostro paese.

Parliamo di Roma. Quasi due anni fa, i primi arresti e la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare relative all’indagine Mondo di mezzo gettarono un’ombra più che oscura sul sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati della capitale. Le politiche pubbliche di accoglienza italiane ne uscirono delegittimate: l’attenzione si concentrò sul “malaffare” connesso alla gestione dei centri e sulla quantità di risorse pubbliche a questa destinate.

Da qui il diffondersi di un luogo comune che associa l’accoglienza, ben oltre le mura della capitale e senza discriminante alcuna, solo ed esclusivamente a un business. L’inchiesta ha in effetti portato alla luce vere e proprie patologie sistemiche nelle procedure di affidamento, nell’erogazione, nel monitoraggio e nel controllo dei servizi di accoglienza gestiti per conto dello Sprar e della Prefettura. Perché si è arrivati a questo punto e cosa è successo a distanza di due anni?

Nel dossier il Mondo di dentro, Lunaria propone una sua lettura partendo da una tesi di fondo: la cattiva accoglienza deve essere denunciata e perseguita ma non dovrebbe legittimare il disimpegno istituzionale nella predisposizione di servizi di accoglienza pubblici efficienti e capaci di favorire effettivamente la progressiva autonomia delle persone ospitate.

Ci sono precise responsabilità politiche e amministrative, nazionali e locali, all’origine delle criticità che a tutt’oggi caratterizzano il sistema di accoglienza romano, articolato in strutture di grandi dimensioni concentrate in alcune aree della città, spesso periferiche, con un rapporto tra ospiti e operatori inappropriato a garantire la corretta e personalizzata erogazione di tutti i servizi previsti nei bandi di gara pubblicati dalla Prefettura o nelle Linee guida del sistema di accoglienza ordinario Sprar, coordinato dal Comune. Permangono condizioni di sfruttamento del lavoro degli operatori.

L’affidamento diretto dei Cas è proseguito anche in tempi recenti, nonostante la pubblicazione di bandi di gara sicuramente più puntuali di quello del giugno 2014. La scadenza del progetto Sprar il prossimo 31 dicembre consentirebbe di ripensare profondamente il modello di accoglienza cittadino se solo si volesse.

Il Comune, la Regione e la Prefettura, potrebbero coinvolgere in un percorso condiviso di programmazione e progettazione degli interventi per i prossimi tre anni tutte le realtà presenti sul territorio: i municipi, gli enti gestori, le associazioni antirazziste, i sindacati, i movimenti delle occupazioni e degli operatori e le associazioni dei migranti. Ciò forse consentirebbe di evitare che tutto tornasse a funzionare come prima.