Siamo quasi a marzo e tra un anno, a fine mese (il 29), la Gran Bretagna dovrà essere fuori dalla Ue, salvo poi accedere a un periodo di transizione di meno di due anni (fine 2020). Ma venti mesi dopo il referendum che ha approvato la Brexit, la situazione resta altamente confusa.

Ieri, è sceso in campo il leader laburista, Jeremy Corbyn, più con l’intenzione di nuocere ai Tories in piena tormenta che per delineare una soluzione che possa essere accettata da Bruxelles. Era da un anno che Corbyn non faceva un discorso sulla Brexit e che sfuggiva a una presa di posizione. Ieri, a Coventry, per far uscire la Gran Bretagna dal “buio” in cui la tiene il governo May, ha proposto a Bruxelles una “nuova unione doganale”, con l’obiettivo di “garantire l’assenza di diritti doganali con l’Europa e evitare la necessità di una frontiera rigida con l’Irlanda del Nord”, uno dei grossi nodi della questione (una frontiera “dura” metterebbe in crisi gli accordi di pace del ’98).

Corbyn vuole un’unione doganale fatta su misura per la Gran Bretagna, sul modello degli accordi che la Ue ha con Svizzera, Norvegia e Turchia. L’Unione doganale implica eguali tariffe doganali con il resto del mondo. Ma Corbyn vorrebbe, al tempo stesso, poter lasciare alla Gran Bretagna mano libera per concludere accordi con paesi terzi, cosa che Bruxelles rifiuta categoricamente.

Malgrado un appello di un’ottantina di laburisti per restare nel mercato unico, il leader laburista su questo altro pilastro della costruzione europea accetta soltanto la libera circolazione dei beni: una misura di buon senso, che ha esemplificato con la storia della Mini, l’auto costruita a Oxford dalla Bmw, che secondo Corbyn fa tre andate e ritorno dalla Manica prima di essere ultimata, perché le catene di costruzione sono complesse (il 44% dell’export britannico e il 50% dell’import sono con la Ue). Corbyn non vuole che l’economia britannica ci rimetta dalla Brexit, ma al tempo stesso non intende andare contro il voto e riammettere tutti gli aspetti del mercato unico: le “4 libertà” di circolazione, oltre ai beni, anche persone, servizi e capitali (difatti, gli industriali hanno accolto con favore la posizione di Corbyn, che irrita invece la City).

“La libertà di movimento si fermerà”, ha aggiunto, senza pero’ chiarire sul nodo della libera circolazione dei cittadini Ue. Vuole negoziare “protezioni, chiarificazioni e esenzioni là dove sono necessarie”. Corbyn vuole un accordo su misura, perché rifiuta che la Gran Bretagna debba sottostare a tutte le regole della Ue (l’esempio negativo è la vicenda della Royal Bank of Scotland, dieci anni fa, che venne salvata ma obbligata a disfarsi di parte dell’attività), se andrà al potere vuole avere le mani libere (sulle rinazionalizzazioni di certi servizi, per esempio). Ha ribadito che Londra dovrà poter intervenire nelle decisioni Ue che riguardano unione doganale e libera circolazione dei beni, cosa che non è concessa a Svizzera, Norvegia o Turchia. Ha promesso, come i Brexiters, di utilizzare per migliorare i servizi pubblici i “dividendi della Brexit”, cioè i soldi risparmiati uscendo dalla Ue (ma Londra dovrà continuare a pagare anche nel periodo di transizione), dimenticando di dire che Norvegia e Svizzera versano contributi alla Ue pur non partecipando alle decisioni che poi devono rispettare.

Nicola Sturgeon, primo ministro della Scozia, ha commentato: “il discorso di Corbyn è simile a quello di Theresa May”. In difficoltà David Davis, segretario di stato alla Brexit, che ha liquidato, sprezzante: “vende snake oil” (un ciarlatano). Ma potrebbe riuscire la manovra di far cadere il governo May, se dei deputati Tory uniranno i loro voti a quelli del Labour su un emendamento alla legge, in discussione, sulla riorganizzazione delle dogane per il dopo-Brexit.