Alla vigilia del centocinquesimo anniversario della Rivolta di Pasqua del 1916 – evento fondativo dell’Irlanda moderna – e a ventitré da quello degli accordi del Venerdì santo del 1998, che hanno sancito l’inizio del processo di pace in Irlanda del Nord, per la terza notte consecutiva domenica si sono accese di fuoco le strade del paese.

Il primo scenario dei tumulti, venerdì scorso, era stato Belfast, e nello specifico l’area lealista e centralissima di Sandy Row. Gruppi di giovani avevano lanciato molotov e mattoni contro gli agenti di polizia e divelto tombini, mantenendo alta la tensione per molte ore. A queste violenze si erano aggiunte quelle nelle zone lealiste di Derry, per un bilancio totale di 27 agenti feriti, 15 a Belfast e 12 a Derry.

Il giorno successivo i tumulti erano proseguiti spostandosi in periferia, a Newtonabbey, nei dintorni di Belfast, e a Carrickfergus nella contea di Antrim, dove individui spesso dal volto coperto hanno proseguito nel lancio di numerose molotov e mattoni, dando alle fiamme cassonetti e danneggiando auto. Nelle due località i riot sono andati avanti, sebbene con minore intensità, anche nella serata di domenica causando quattro feriti tra i poliziotti.

A Derry, nell’area unionista di Waterside a Derry, altre proteste violente, ma senza feriti, nella serata di domenica hanno fatto crescere l’allarme tra politici e capi delle forze dell’ordine, anche perché vi hanno partecipato in larghissima parte giovanissimi tra i dodici e i diciott’anni.

Diversi appaiono i motivi scatenanti. Primo tra tutti il malessere dovuto al protocollo che sancisce di fatto lo spostamento del confine doganale tra Irlanda e Inghilterra sul mare, protocollo ideato per proteggere gli accordi del Venerdì Santo – che sono a tutti gli effetti un trattato internazionale – e per evitare il ritorno a un confine duro tra le due Irlande. Il protocollo, firmato dal governo di Boris Johnson d’intesa con la Ue, e caldeggiato fortemente dalla nuova amministrazione americana che ha dato a intendere di voler difendere a tutti i costi gli accordi di pace, scalda gli animi della comunità unionista ormai da settimane. Ma nonostante i diversi atti intimidatori, i graffiti minacciosi e le sfilate in stile paramilitare per i quartieri di Belfast, non si erano ancora viste le reazioni violente di questi giorni.

Reazioni sollecitate anche dalla decisione, da parte degli inquirenti, di lasciar cadere tutte le accuse nei confronti di ventiquattro membri di Sinn Féin che, a detta dei partiti unionisti, avrebbero infranto le regole anti Covid, partecipando in massa al funerale di uno degli storici leader del repubblicanesimo e dell’Ira, Bobby Storey, il 30 giugno scorso. A seguito di questa decisione, che prendeva in considerazione indagini secondo cui le regole erano invece state rispettate in toto, la leader del Dup e prima ministra nordirlandese, di concerto con tutti i maggiori partiti unionista, avevano chiesto espressamente le dimissioni del capo della polizia, Simon Byrne. Richiesta rispedita prontamente al mittente.

Esiste una terza motivazione che spiega parzialmente i tumulti tra i giovani lealisti, istigati ad arte da personalità della galassia del lealismo paramilitare e da noti blogger, e in un certo senso legittimate dalla retorica del Dup che, prima favorevole alla Brexit, aveva poi firmato il protocollo, salvo poi scagliarvisi contro per motivi di consenso. Questa è data da un’azione delle forze di polizia che nei giorni passati avevano sequestrato partite di droga a membri della Uda (Ulster Defence Association) di Sout East Antrim, una cellula impazzita del gruppo paramilitare ancora attivo. La fazione è ritenuta aver sobillato, in parte perlomeno, le proteste violente avvenute a Carrickfergus.

Sul versante politico, Sinn Féin e i partiti che fanno riferimento alla comunità repubblicana, con lo Sdlp in primis, hanno chiesto ai politici unionisti di smetterla con la loro retorica incendiaria e di mostrare leadership in un momento tanto critico.

Nell’unionismo si sono moltiplicate voci che invitano alla calma. Tra queste quella della prima ministra, Arlene Foster, che chiede ai giovani di «non partecipare a disordini perché porteranno solo a condanne penali e che danneggeranno le loro vite». Ha fatto poi appello ai «genitori affinché facciano la loro parte e proteggano i propri figli».