Soltanto venerdì l’esercito afghano è potuto entrare nell’area dove giovedì scorso la bomba da 11 tonnellate di esplosivo è stata sganciata dagli americani nel distretto di Achin, provincia orientale di Nangarhar.

Ma video girati nei dintorni a due giorni dallo scoppio e i primi che ora cominciano a girare dopo che gli americani hanno tolto i sigilli dall’area del bombardamento, mostrano le prime distruzioni e gli effetti di un ordigno considerato secondo solo alla bomba atomica: il più potente ordigno non nucleare i cui effetti sono ancora segreti e probabilmente tali rimarranno.

CONDITI DA DICHIARAZIONI, dati e simil certezze – tra cui le “scuse” di un alto comandante americano per possibili vittime civili – che conviene continuare a prendere con le molle.

Ma mentre i primi soldati afghani ricevevano il permesso di visitare l’aera, 500 km più a nord, nella provincia di Balkh, i talebani mettevano a segno il più sanguinoso attacco contro un obiettivo militare nazionale. Lasciando sul terreno oltre cento soldati morti.

La dinamica dell’attacco di venerdì alla base militare dove si trova il 209 Shaheen Corps nella provincia di Balkh, città circondata da una cintura della guerriglia in turbante ormai da diversi anni, è ancora oggetto di ricostruzione.

Quel che è certo è che la guerriglia, che ha rivendicato l’attacco con kamikaze e un commando armato (una decina tra loro sono stati uccisi), ha atteso che i militari fossero alla preghiera del venerdì, e dunque in un momento di riposo, alla una e mezza mentre altri commilitoni erano in pausa pranzo.

SONO RIUSCITI A PASSARE i check point, probabilmente aiutati da spie interne, e hanno fatto strage a colpi di kalashnikov sparati da mezzi militari che hanno forse indotto in errore i controlli all’ingresso. I morti ufficialmente sarebbero un centinaio ma diverse fonti fissano il bilancio tra 130 e 140 e almeno una sessantina di feriti.

Nelle prime ore le cifre erano molto più basse: una decina si era detto, forse stimando che nascondere la verità avrebbe ridotto l’effetto dell’azione.

LE MEZZE BUGIE, quando non le aperte falsità, sono una costante della propaganda di guerra e l’Afghanistan non fa eccezione. E eccezione non fa la vicenda della GBU-43/B Massive Ordnance Air Blast (Moab), la madre di tutte le bombe.

Il refrain, in attesa di un rapporto ufficiale definitivo sugli effetti, è stato fin dall’inizio che l’ordigno non ha causato vittime civili, dato certificato anche dal Ministero della Sanità. Ma alcuni video girati fuori dall’area recintata dagli americani e immediatamente vicini alla zona della deflagrazione, mostrano cadaveri con segni evidenti di ustioni, case distrutte e un terreno violentato dal calore e da uno spostamento d’aria che – dicono le cronache di quella bomba – può uccidere anche a grande distanza.

Venerdì scorso però, a poche ore dall’esplosione, gli americani hanno sentito il bisogno di un’excusatio anticipata nel caso di «possibili vittime civili». Lo racconta Luca Lo Presti, presidente della Onlus Pangea, una delle poche organizzazioni italiane (con Emergency) rimaste ad operare in Afghanistan e che, a Kabul, ha progetti di microcredito e protezione di bambini e donne.

«LA NOTIZIA DELLA BOMBA l’ho avuta dall’Italia la sera di giovedì – dice Lo Presti – nonostante fossi a Kabul dove quella sera ho dormito da una famiglia afghana. Sentivo una pena incredibile a vedere i fragili corpi di quei bambini riposare ignari nei loro letti. Poi, il giorno dopo, vedo in televisione un alto grado dell’esercito americano chiedere scusa nel caso la bomba avesse prodotto effetti collaterali sui civili».

MA DI CIVILI MORTI non si parla e dall’area blindata escono notizie col contagocce mentre l’ex presidente Karzai – l’unico ad alzare la voce – accusa il governo (che ora dice addirittura che la bomba è stata sganciata sotto la sua supervisione) di aver rinunciato alla sua sovranità territoriale per consentire a Trump di testare ordigni.

MA QUEL CHE PIÙ APPARE comico, se non del tutto tragico, è che le autorità hanno fatto nomi, cognomi, origine etnica e ruolo nelle organizzazioni eversive (tra cui i talebani pachistani) di alcuni tra i 90 cadaveri di appartenenti allo Stato Islamico rimasti sotto la bomba sganciata sul villaggio fantasma di Assadkhil, nell’area di Mohmand Dara.

Come abbiano ritrovato corpi o anche solo ossa, e dunque Dna, delle vittime è un mistero che gli effetti della bomba, da quel poco che si vede nei video, rendono ancora più che tragicomico.

E MENTRE LA GUERRA INFURIA viene da chiedersi come mai nessuno abbia ancora invocato una commissione di indagine indipendente in questa terra martoriata da quello che appare, più che una bomba giustiziera, un crimine contro l’umanità e il pianeta.