«Non son solo, siamo in due!» canta Rodolfo agli amici dalla finestra, dopo il fortuito incontro con Mimì. E due personalità congiunte, Antonio Pappano e Richard Jones, da anni stretti collaboratori, sono dietro la piccola rivoluzione che ha visto al Covent Garden la sostituzione della storica produzione di John Copley, risalente al 1974. Qualche critico britannico ha sollevato riserve, ma il pubblico ha accolto l’allestimento – coprodotto da Madrid e Chicago – con grande entusiasmo, il cui merito va ascritto con ugual misura a regista, compagnia e direttore.

Jones applica il suo noto e rigoroso procedimento di lavoro attoriale in spazi dalla definizione asciutta e scabra, alternando la geometria desolata della soffitta nel primo e del quarto atto al magnifico gioco scenografico, con una gestione efficacissima delle masse negli atti centrali. L’addio del terzo atto si consuma in una spianata buia su cui la neve cade senza sosta e stringe il cuore mentre, all’opposto, l’atto del Cafe Momus ci presenta gli amici travolti dal baluginio festante dell’effimera e inebriante «joie de vivre« parigina, fra mercatini, ristoranti e «passages» affollati (scene di Steward Laing). Con un efficace colpo di scena il caffè si spalanca per far passare la sfilata militare, allegramente irrisa da Schaunard e dai suoi amici.

Al profilo degli artisti squattrinati Jones privilegia quello degli amici solidali nella miseria: così a Marcello non vengono ascritte qualità di incompreso genio del pennello, né a Colline gran doti di filosofo, la verità letteraria di Rodolfo è quella dedicata nei momenti con Mimì più che nell’articolo di fondo del Castoro. Sullo sfondo una quotidianità dura e crudele, come nella confessione di Rodolfo nel terzo atto o nel finale, quando tocca alla mano di Musetta coprire con una copertaccia il corpo esanime di Mimì.

Sicuramente la gestualità tradizionale è ridotta al minimo ma lo scavo introspettivo e il dramma delle vite giovani incapaci di fiorire, stroncate da stenti e diseguaglianze sociali, risultano in tutta la loro dirompente attualità, senza che venga tradita alcuna intenzione del compositore. Antonio Pappano conosce profondamente La Bohème che guida e sostiene con un’attenzione minuziosa agli accompagnamenti, perfettamente coniugata una visione d’insieme coerente e la scelta di una paletta di colori emozionante.

Si sono alternate come Mimì la luminosa e espansiva Nicole Car e la più fragile Simona Mihai, che divideva anche la parte di Musetta con la piccante Joyce El Khoury. Mariusz Kwiecien era un Marcello esuberante accanto al Rodolfo personale e comunicativo di Michael Fabiano. Schaunard era lo scatenato Florian Sempey mentre Luca Tittoto impersonava un ottimo, solenne Colline. Jeremy White era un Alcindoro divertente e il coro, bimbi compresi è risultato impeccabile. La produzione torna in scena a giugno 2018, ed è probabile un nuovo sold out, quindi chi vuole si affretti.