Contrordine. Si va ai tempi supplementari per la formazione di un governo Salvini-Di Maio, se non con la benedizione di Berlusconi, con «l’astensione critica» di Forza Italia all’alleanza tra Lega e M5Stelle.

E si apre la trattativa sulle «garanzie» che i pentastellati dovranno offrire in cambio del passo indietro dell’arcinemico di Arcore.

Queste «garanzie» riguardano naturalmente il conflitto di interessi, quel macigno che proprio Di Maio, quando ormai sembravano chiuse tutte le porte per un accordo di governo, aveva rimesso al centro della scena ( o della sceneggiata) per marcare ancor più duramente la distanza dal condannato eccellente.

Berlusconi farà buon viso a cattivo gioco, pronto a far digerire qualche bocconcino indigesto ai ragazzi di Grillo e Casaleggio. E di sicuro l’elettorato grillino, su questo terreno, non è ancora addomesticato.

Così, nel giro di ventiquattr’ore, dalle elezioni di mezza estate siamo passati al governo politico tra i due «vincitori» del 4 marzo. Formalmente tutto viene presentato come un gesto di generosità di Berlusconi, nella sostanza il panico gettato da Mattarella tra i piedi dei due principali contendenti ha dato i suoi frutti.

Deputati e senatori forzaitalioti piuttosto che andare incontro a sicura decimazione nelle urne, hanno scelto di far ingoiare
a Berlusconi il rospo.

Quale sarà il prezzo lo vedremo presto quando avremo la lista dei ministri, quando si depositeranno
i nuovi assetti di potere.

Se la trattativa alla fine andrà in porto, il paese dovrà prepararsi a un governo di nuovo conio, segnato sicuramente da contraddizioni (a partire da quella trab il Nord e il Sud del Paese),
ma altrettanto fortemente sbilanciato a destra. Una prospettiva tutt’altro che rassicurante.

Eppure c’è chi, come il Pd, per questo esito ha tifato subito, fin dal 5 marzo, quel Pd che dovrebbe essere il partito del centrosinistra, che soltanto ieri prometteva opposizione dura ai nuovi governanti pur avendo fatto un tifo accanito per questo disastroso esito politico.