Non c’è alcun dubbio che Scatti personali di Elliott Erwitt (Parigi, 1928), appena uscito per i tipi Electa dopo l’edizione newyorkese del 1988, sia «uno dei più bei libri» di fotografia mai pubblicati, come ha bene sottolineato Biba Giacchetti nella sua prefazione. La raccolta di fotografie – circa duecentoventi rigorosamente in b/n – sono quelle che Erwitt ha selezionato tra quelle scattate a margine della sua attività di fotografo professionista. Sono immagini di gruppi in posa e defilé di moda, soldati in marcia e turisti in spiaggia, credenti in fila al confessionale e sposi in viaggio di nozze, e poi tanti bambini, la sua, Ellen tra le cura della moglie Lucienne Van Kan, in giostra, in formazione di banda musicale o dentro auto in sosta e ancora cani di ogni taglia e razza perché «hanno qualità umane».

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New York, 1946

Pochi sono gli scatti di personaggi famosi: Jacqueline Kennedy al cimitero nazionale di Arlington per il funerale di JFK, Giovanni Paolo II a Roma e Nixon che fa il «duro» con Nikita Krusciov puntandogli il dito. Uno scatto, quest’ultimo casuale, ma che fu di grande aiuto (senza l’autorizzazione di Erwitt) per la campagna elettorale del politico americano nel 1960. Erwitt sembra non porsi limiti nella scelta di temi, personaggi e situazioni, ma predilige fotografare gli uomini. Anche quando immortala gli animali, è perché in loro scopre il «fascino antropomorfico». Allo stesso modo, quando riprende il paesaggio è solo perché vi scorge i segni e le tracce umane.

D’altronde, lo dichiara lui stesso nell’introduzione al volume: è solo degli uomini riuscire come Chaplin «a far ridere e piangere in alternanza». Solo allora si tocca il «vertice assoluto» che poi è l’obiettivo dichiarato del reporter americano. Come ciò possa accadere è il mistero della fotografia che contiene sempre con sé qualcosa di «irrazionale e persino di magico». Non è un caso che tra i maestri della fotografia che Erwitt predilige ci sia da un lato, Henri Cartier-Bresson e dall’altro, Eugène Atget: due fotografi all’apparenza agli antipodi per contesto storico, sensibilità e tecnica, ma che sembra abbiano trovato un punto di sintesi proprio nel fotografo americano. Erwitt coglie, infatti, ciò che li accomuna entrambi: «la capacità personale di guardare le cose», fossero queste colte nello scatto istantaneo di una Leica o nella lunga posa di una macchina a lastre di vetro. Inoltre anche per Erwitt, come per i due francesi, una fotografia «viene fuori da sé» non è mai un’invenzione ma un «dono». In questo condivide l’idea del suo collega americano Robert Adams quando afferma che «inventare, in fotografia, è laborioso quanto, nella gran parte dei casi, perverso».

È questa, forse, la ragione per la quale Erwitt non ha mai più di tanto interessato la critica contemporanea rivolta più alla ricerca del sorprendente, sia esso l’astrattismo delle avanguardie sia le manipolazioni del digitale. Le sue fotografie sono semplicemente «normali», anche se la definizione rischia di essere fraintesa pur avendola impiegata lui stesso. «Qualcuno sostiene – ha scritto nell’introduzione – che le mie foto sono tristi, altri le trovano comiche, ma in fondo il comico e il triste non sono poi la stessa cosa? Sommandosi fanno la normalità».
Il normale se tradotto con umano rende tutto più chiaro. È umano, infatti, tutto ciò che gli si presenta davanti all’obiettivo: ricco di quelle singolari ambiguità e contraddizioni che si rivelano sorprendenti ma sono dettate solo da una «contemplazione intensa». È questa la ragione per la quale le foto di Erwitt, raccontando la comédie humaine, hanno un «contenuto politico» come egli stesso tiene a precisare. Gli esempi vanno oltre al servizio dell’incontro Nixon-Krusciov prima citato, allo scoop per Life sui missili sovietici esposti alla parata per il 40° anniversario (1957) della Rivoluzione di ottobre fino al reportage sulle ripetute incoronazioni dello scià di Persia, alle foto di Marilyn Monroe.

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Molte delle fotografie pubblicate in Scatti personali è possibile ammirarle nella mostra Icons nella Torre del Castello dei Vescovi di Luni a Castelnuovo Magra (fino all’11 ottobre) che dopo un secolo ritorna visitabile. All’interno della Turris Magna le fotografie di Erwitt sono disposte ognuna singolarmente su dei piedistalli producendo un inusitato effetto scenografico. Originale è anche il catalogo con i commenti di Biba Giacchetti – ogni fotografia si può staccare per comporre una personale galleria – curatrice della mostra insieme a Erwitt al quale la lega una profonda conoscenza e amicizia. La rassegna nella Valle del Magra presenta gli splendidi ritratti di Marilyn e Che Guevara, c’è poi Marlene Dietrich colta di sorpresa al ballo di beneficenza del Waldorf Astoria a New York, e J.F.Kennedy che alla Convention Democratica nel 1960 fuma un sigaro cubano. Nel lungo girovagare di Erwitt per il mondo come un flâneur globale le foto dagli Stati Uniti sono quelle che meglio raccontano le molteplici contraddizioni di una società opulenta. Il bambino di Pittsburgh che sorride con una pistola giocattolo alla tempia è tra quelle più emblematiche per la sua ambigua normalità: «La puoi vedere come vuoi. Può essere divertente o non esserlo affatto», ha dichiarato il fotografo americano.
In diverse fotografie esposte lo scatto è effettuato al volo, inquadrando scene che, a volte, appaiono inverosimili. Come quel piccolo cane accanto alle gambe della sua padrona: è ripreso alla sua altezza, altera la scala, quindi la nostra percezione. Erwitt ha contribuito ad accrescere il nostro senso di consapevolezza perché, abile come pochi altri, sa cogliere «l’istante in cui tutto combacia».