Il Bologna Festival, sella sua sezione dei concertisti di fama internazionale, martedì 13 maggio ha in programma al Manzoni un concerto di Mikail Pletnev, russo cinquantasettenne, con un programma con musiche di Beethoven, Schumann e coi Preludi di Skrjabin, l’op. 11, che sono meno frequentati della Sonata op. 14 n. 2 di Beethoven e di Humoreske di Schunann.

La settimana scorsa c’è stata, nella medesima rassegna, la “sorpresa” di Andras Schiff , eccellente pianista di origini magiare, che s’è messo a giocare con la filologia e i suoi falsi costituzionali. Non ce lo saremmo aspettato, ma diverte che lo faccia con una certa ironia e suggerendo un suo personale marameo alla “disciplina”.

Nel suo programma c’erano Schubert, con l’ampia Sonata in La magg, e Beethoven, le Variazioni su un valzer di Diabelli. Sul palco dell’auditorium ad accogliere il pubblico c’erano 2 pianoforti: un Bosendorfer e uno Steinway. Schiff avrebbe usato il primo per la musica di Schubert, l’altro per Beethoven. Egli proseguiva così nel gioco avviato, credo, con le Diabelli registrate per la ECM usando un Bechstein del 1921 e un fortepiano di cent’anni prima.

Dov’è il marameo? potrà chiedersi qualcuno. Sta nel fatto che né Beethoven né il più giovane Schubert avrebbero potuto suonare uno Steinway e che se avessero messo le dita su un Bosendorfer, e probabilmente l’han fatto, avrebbero suonato lo strumento più efficiente e moderno della loro epoca; qui, invece, il suo suono ha il compito di raccontarci la morbidezza dei bei vecchi tempi andati. E’ la nonna che racconta la favola ai bambini.

Uno strumento come questo Bosendorfer l’avevamo visto a disposizione di Aldo Ciccolini un paio d’anni fa per un concerto a Bosa in Sardegna, ma lui suonava musica del settecento napoletano, musica che non è mai parsa sconvolgente a nessuno, ma semplicemente bella musica continuamente adattabile agli strumenti dell’epoca.

Schiff è consapevole dell’effetto e non esagera: va da sé che certi accenti nell’acuto, quelli che in Beethoven con lo Steinway suonano come campane, richiami o allarmi, diventano sull’altro strumento i campanelli di una carrozza. Naturalmente li volesse secchi e fortemente assertivi potrebbe ottenerlo, ma il gioco sta nel lasciare che gli strumenti tradiscano gli autori, facendo diventare Schubert una sorta di antecedente di Beethoven. Suonate le due pagine in programma, con infiniti applausi, il pianista si lancia in una serie di bis che sono un ulteriore concerto con i medesimi autori. Di Beethoven fa, nel bis!, “l’appassionata”, annunciandola come “la sconosciuta”. Anche qui continua il gioco di cambiare il pianoforte in funzione dell’autore e, data la maggior popolarità delle musiche che esegue, ottiene la beatitudine della sala plaudente, un po’ in piedi e un po’ ancora seduta, malgrado 4 ulteriori inattese performance.