Sorprendono i film sugli adolescenti che diventano genitori troppo presto in un paese a crescita sottozero, quasi una compensazione virtuale: Slam – Tutto per una ragazza di Andrea Molaioli in qualche modo riesce a dribblare gli ostacoli narrativi di alcune opere viste recentemente anche perché il protagonista Ludovico Tersigni è un esperto skater. Sa come mantenersi in equilibrio, certo a volte cade, poi si rialza e tenta altre figure ancora più spericolate.

Dal regista che esordì con La ragazza del lago alla Settimana della critica, anche qui scombinando alcune regole del noir, ci arriva un altro racconto non prevedibile nella sua composizione, pur se l’intreccio potrebbe sembrare ovvio: genitori scombinati da una parte, troppo inquadrati dall’altra. Ma ancora una volta a scomporre il quadro c’è un libro di riferimento, Tony Hawk (TH): Occupation: Skateboarder di Nick Hornby. Samuele ha il poster di Tony Hawk sul suo letto come fosse quello di Che Guevara o la figura di Rick a suggerirgli le mosse, la sua vita, come quella di ogni adolescente è come un susseguirsi di trick, di mosse da provare e riprovare. Anche quell’ultima, la certezza che diventerà padre mentre ancora frequenta il liceo è come l’evoluzione a 360° della figura detta «Impossible».

Tanto più che si tratta di riprovare a fare le mosse che già fece sua madre diventata madre a sedici anni ed evitare quelle del padre che li lasciò soli. La madre è interpretata da Jasmine Trinca. «Prima c’era Jasmine che era un punto fermo», dice Molaioli, un’affermazione di tono biblico ma anche comprensibile, visto che lei è il personaggio accogliente, che dà appoggio e mostra i suoi lati fragili, riduce la distanza tra generazioni. «Penso che i genitori non debbano essere giudicanti, ma indicanti – dice Jasmine Trinca, trasmettere un’idea di umanità e fallibilità ha un risultato contrario a scoraggiare il rapporto genitori figli». Molaioli e i suoi sceneggiatori (Francesco Bruni e Ludovica Rampoldi) hanno trasportato la vicenda da Londra a Roma, evitando il più possibile le scenette romane (ma si perdona a Luca Marinelli ogni slang), spostando sempre gli stereotipi e creando situazioni di spaesamento proprio come accade nei giri della morte.

«Un film – dice Molaioli, dove al centro ci sono i ragazzi, ma non solo loro, c’è uno scambio costante di adolescenza e maturità». Ma cosa conosce della cultura degli skaters? «Non ero ferrato, poi mi sono calato soprattutto nella scena romana degli skaters, per capirli. L’idea era di conoscerli e coinvolgerli. A Roma esistono due Skate Park, di cui uno solo pubblico, a Cinecittà. Gli stessi ragazzi ne mantenevano il decoro e insieme agli sponsor abbiamo cercato di qualificarlo per fare in modo che alla fine del nostro passaggio restasse qualcosa. La loro filosofia è già nel romanzo: fare skate vuol dire cadere, farsi male, faticare molto per raggiungere un obiettivo e già questo ci sembrava interessante. Io volevo raccontare il mondo dell’adolescenza senza difficoltà sociali come droga o delinquenza come si fa di solito, ma in termini normali, la paura del futuro, un’alternanza di entusiasmo e preoccupazione. Ma al di fuori delle considerazioni che gli adulti fanno sui sui ragazzi, irrompe come una frenata brusca il giovane Tersigni (Samuele): «Essere genitori è una cosa che deve capitare, ho un’amica che è diventata mamma a 19 anni e se la sta cavando. Certo bisognerebbe che a scuola si insegnasse qualcosa. E prendere precauzioni».