«Il picco dei rendimenti dei titoli italiani a 10 anni rappresenta certamente uno sviluppo significativo e una potenziale causa di preoccupazione» e i rischi di contagio dall’Italia sono «ancora sul tavolo, specialmente se questo picco dovesse effettivamente continuare».

Dopo un lungo silenzio anche la Bce guidata da Mario Draghi ha detto la sua sul nascente governo Lega-M5S. A differenza di Confindustria, che ha sparato a zero sul programma giallo verde senza badare alle buone maniere, il vicepresidente uscente della Bce Vitor Constancio è stato molto cauto, ma sia pure con toni morbidi ha lanciato al nuovo esecutivo un avvertimento con il quale presidente del consiglio incaricato, Giuseppe Conte, dovrà certamente misurarsi, soprattutto se arrivasse Paolo Savona al ministero dell’economia.

In un rapporto della Banca centrale europea si legge tra l’altro: «Il risultato inconcludente delle elezioni italiane del 4 marzo non ha provocato una reazione significativa del mercato» nelle settimane successive i rendimenti dei titoli sovrani «sono stati messi sotto pressione mentre i mercati si sono preoccupati del programma politico della futura coalizione».

Le preoccupazioni della Bce, come sanno bene i ministri delle finanze dell’Eurozona, pesano come il piombo sulle politiche economiche dei governi, perché è ormai appurato che la ripresa economica dell’Europa e in particolare dell’Italia è stata alimentata e sorretta dalla decisione presa tre anni fa da Mario Draghi di acquistare a man bassa i titoli del debito pubblico allo scopo di finanziare le imprese attraverso i grandi istituti bancari. Un meccanismo indiretto, inventato da Draghi, di stampare denaro. Secondo molti economisti se non ci fosse stato il Quantitative Easing, osteggiato all’inizio proprio dalla Germania, l’Europa sarebbe ancora in recessione.

Il guaio è che l’anno prossimo il mandato di Mario Draghi scade e non si sa se il suo successore sarà disposto a continuare la sua politica, soprattutto se nel nuovo governo italiano prevalesse la linea di politica economica di Paolo Savona. Ecco perché nell’establishment economico e finanziario italiano, compresa Confindustria, si vede come il fumo negli occhi una possibile nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia.

A questo proposito ieri è arrivata di nuovo dalla Germania una bordata, sotto forma di consiglio alla Banca centrale europea: «L’eurozona rischia una nuova crisi. La Bce dovrebbe verificare se sia possibile comprare ancora titoli di Stato italiani», ha detto con una certa perfidia il capo dell’istituto economico di Monaco Ifo, Clemens Fuest, commentando gli sviluppi della situazione politica italiana. La coalizione formata da Lega e Movimento 5 Stelle mette in discussione le basi dell’eurozona, ha affermato Fuest e dunque bisognerebbe prendere provvedimenti. E’ evidente che i tedeschi hanno deciso di fare pressione sulla Bce per far sì che Draghi condizioni le scelte del nascente governo. Ma per il momento il numero uno della Bce pubblicamente non si è sbilanciato, ha lasciato parlare i suoi vice.

D’altronde, nei circoli finanziari di Bruxelles comincia a circolare una domanda inquietante: l’Italia come la Grecia? L’unico ministro dell’Eurogruppo che pronuncia, e di propria iniziativa, il nome Grecia è il maltese Scicluna secondo il quale se l’Italia si avvitasse nella spirale più spese-più debiti-più spese «sarebbe un replay della Grecia», appunto.

Il commissario Ue all’economia Pierre Moscovici respinge in radice il quesito e invita a «mantenere la ragione», ma in ambienti tedeschi vicini al governo non hanno digerito le ultime dichiarazioni di Paolo Savona sul pangermanesimo finanziario di Angela Merkel. La resa dei conti è rinviata. Solo per qualche giorno.

Se la spuntasse Matteo Salvini e al Tesoro arrivasse Paolo Savona le ostilità di riaprirebbero con maggiore violenza.