È stato commesso un grave errore politico e culturale, difficilmente comprensibile. Non può che essere questo il nostro commento al voto da parte della Camera dei deputati sulla riforma della giustizia in materia di ecoreati. E non possiamo che esprimere il nostro sdegno per gli esiti della votazione sull’ordine del giorno con cui s’impegnava il governo Draghi a rimediare all’errore commesso, insieme alla maggioranza parlamentare che lo sostiene. Un vastissimo schieramento trasversale che comprende anche forze politiche come il M5S e il Pd con cui, insieme a Sel/Si, nella scorsa legislatura avevamo portato a compimento in Parlamento la nostra maratona lunga 21 anni per far inserire i delitti contro l’ambiente nel codice penale.
Lo abbiamo detto in tutti i modi nelle settimane scorse.

Lo abbiamo fatto insieme a Libera, Wwf, Greenpeace e Gruppo Abele, con cui condividiamo ogni giorno dure battaglie contro l’illegalità ambientale e le mafie in tutto il Paese. Non si capisce sulla base di quale criterio delitti come quelli di mafia, terrorismo, violenza sessuale aggravata e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti possano beneficiare di tempi più lunghi rispetto, ad esempio, al peggiore degli ecoreati come il disastro ambientale, dove ad essere minacciata è la salute e la vita di migliaia di persone. Si tratta di una «classifica di gravità» senza alcun fondamento che ha di fatto creato un ingiustificato disequilibrio tra delitti di serie “a” e di serie “b”. Sicuramente condivisibile se l’obiettivo era evitare la tagliola dell’improcedibilità, ad esempio, per i reati di mafia ma che non ha tenuto minimamente in considerazione, tra l’altro, gli importanti risultati ottenuti da magistratura e forze di polizia grazie all’applicazione dei nuovi ecoreati della legge 68 del 2015.

Lo sdegno comunque non ferma la nostra azione. Dopo la bocciatura alla Camera, per soli 5 voti, dell’ordine del giorno che vincolava il governo a cancellare i rischi di improcedibilità per i processi contro chi inquina l’ambiente, il nostro impegno continua, in nome del popolo inquinato. Chiediamo al governo e alla maggioranza che lo sostiene di garantire che i procedimenti penali resi possibili grazie ai delitti ambientali inseriti nel Codice penale, dall’inquinamento al disastro fino al traffico illecito di rifiuti, possano beneficiare di tutto il tempo necessario per l’accertamento della verità. Dal 2015 al 2020 sono state più di quattromila le inchieste avviate dalle Procure, quasi 13 mila le persone denunciate e 4 mila circa le ordinanze di custodia cautelare. Si tratta di un lavoro straordinario, frutto di mesi, a volte anni, di faticose indagini operate da valorosi uomini dello Stato che, senza la modifica della riforma della giustizia approvata dalla Camera, rischia di essere spazzato via.

Dopo aver ottenuto 6 anni fa una riforma del codice penale a dir poco epocale, che ha chiuso una lunghissima stagione di impunità per ecocriminali e inquinatori seriali, ancora oggi purtroppo molto attivi sul territorio nazionale, rischiamo ora un terribile passo indietro che i tanti territori massacrati da numerose illegalità ambientali, con evidenti impatti sulla salute di moltitudini di persone, non capirebbero affatto. E noi che siamo stati sempre al loro fianco continueremo a combattere per non permettere a nessuno di indietreggiare nella lotta ai “ladri di futuro”. A partire dal dibattito parlamentare che si riaprirà a settembre al Senato sulla riforma della giustizia.
(*presidente nazionale di Legambiente)