Va avanti ormai da giorni la battaglia che a Hollywood e anche sulla costa orientale vede su schieramenti opposti la Wga (Writers Guild of America, il sindacato che rappresenta gli sceneggiatori) e la Association of Talent Agents, che rappresenta le principali agenzie di talent fra cui appunto gli sceneggiatori. L’oggetto del contendere sono i rapporti che legano gli agenti ai loro clienti, sinora regolati da un codice di condotta in vigore dal 1976 e che per la Wga è ormai obsoleto. Specialmente nell’epoca della cosiddetta Peak tv, in cui cioè la proliferazione di spettacoli e serie televisive dovuta all’esplosione dello streaming rende ancora più evidente lo squilibrio fra i guadagni degli Studios e quelli degli sceneggiatori – che pure hanno un ruolo fondamentale nella creazione delle centinaia di prodotti che affollano l’offerta streaming, televisiva e via cavo (oltre naturalmente a quella cinematografica).

Secondo le stime della Wga infatti il compenso di chi scrive serie e film non è aumentato proporzionalmente alla smisurata crescita di richiesta del prodotto, anzi sarebbe diminuito. Il motivo per cui la contesa non avviene però con i produttori – come nel caso dello sciopero degli sceneggiatori che nel 2007 aveva paralizzato l’industria per cento giorni – è che la Wga accusa le agenzie di non pensare all’interesse dei propri assistiti quanto al proprio.

DUE SONO i principali «capi d’imputazione»: il conflitto di interessi degli agenti – dato che molte grandi agenzie sono associate anche a case di produzione, come nel caso di William Morris Endeavor, affiliata alla distributrice Endeavor Content – e le packaging fees, cioè i «pacchetti» di talent (per esempio attori oltre agli sceneggiatori) rappresentati dalla stessa agenzia e trattati dagli agenti direttamente con gli Studios. Dai quali in questi casi ricevono i compensi, invece che dai loro «assistiti», per i quali dunque verrebbe a cadere ciò che dovrebbe essere l’interesse primario degli agenti: quello nei loro confronti.

Attualmente la situazione è giunta a uno stallo, ed entrambe le parti aspettano la prossima mossa dell’«avversario». Venerdì scorso infatti, al rifiuto delle agenzie di firmare un nuovo codice di condotta che prevede l’abolizione delle packaging fees e la recisione dei legami con la produzione – che crea l’improbabile sovrapposizione fra datore di lavoro e rappresentante del lavoratore – le trattative in corso sono state interrotte e la Wga ha invitato tutti i suoi membri a licenziare i propri agenti. Secondo il sindacato, migliaia di membri lo avrebbero già fatto – tra questi uno che lo ha dichiarato pubblicamente è Tony Kushner (autore fra le altre delle sceneggiature di Angels in America e di Lincoln di Spielberg), per cui il codice proposto dalla Wga è «etico e razionale» e il rifiuto di firmarlo è una ammissione implicita del proprio conflitto di interessi. In difesa degli sceneggiatori è intervenuta anche Emma Thompson (scrittrice oltre che attrice), condannando l’attitudine hollywoodiana di considerare – dice – gli sceneggiatori «l’ultima ruota del carro».

E MENTRE alcune agenzie – ma nessuna delle più potenti – hanno accettato le nuove regole richieste dalla Wga, e alcuni sceneggiatori per parte loro hanno rifiutato di licenziare i loro agenti andando incontro a possibili sanzioni da parte dei propri rappresentanti, non si intravvede per il momento alcuna soluzione all’orizzonte. Uno stallo che potrebbe portare a breve a un nuovo arresto dell’industria.