La giornata internazionale della lotta contadina, che ricorda il massacro di 19 contadini avvenuto il 17 aprile del 1996 nello stato brasiliano del Parà, vede quest’anno come protagonisti gli agricoltori e le comunità rurali dell’India.

Le lotte contadine che si stanno sviluppando in questi anni in molti paesi mostrano che l’accesso alla terra, il modo di produzione e consumo, la salvaguardia dell’ambiente, la giustizia sociale sono elementi di un unico processo. L’agricoltura familiare indiana, come avviene negli altri paesi, deve fare i conti con gli interessi dell’agrobusiness, che si traduce in concentrazione della produzione, accaparramento dei prodotti agricoli, speculazione sui prezzi. Eppure, il 70% del cibo che viene consumato nel paese arriva dai piccoli produttori.

In India il 60% della popolazione vive di agricoltura ed è distribuita in più di 600 mila villaggi rurali. Gli imponenti processi di urbanizzazione, che hanno portato alla formazione di megalopoli come Mumbai, Nuova Delhi, Calcutta, non hanno prodotto una diminuzione della popolazione agricola.
Una struttura di piccole e piccolissime aziende caratterizza l’agricoltura indiana, con l’85% degli agricoltori che coltivano aziende inferiori ai due ettari. Ma sono queste aziende a garantire cibo alle comunità locali e agli abitanti dei centri urbani.

In questo ultimo anno segnato dal Covid 19, con la grave crisi sanitaria, economica e sociale che ha colpito la popolazione indiana, l’agricoltura familiare ha rappresentato l’unico argine all’emergenza alimentare che si è creata. Milioni di lavoratori urbani, dopo aver perso il lavoro in una economia basata sulla precarietà e informalità dei rapporti lavorativi, per poter sopravvivere sono rientrati nelle comunità agricole da cui provenivano.

L’INDIA E’ IL PAESE CHE HA, DOPO LA CINA, la superficie agricola più vasta e produce una grande quantità di alimenti, ma un quarto della sua popolazione di 1,3 miliardi di abitanti vive in una condizione di insicurezza alimentare. La Via Campesina, un movimento internazionale che riunisce milioni di contadini, piccoli produttori, lavoratori agricoli senza terra di tutto il mondo, ha sempre assegnato all’agricoltura familiare un ruolo strategico nel processo di trasformazione economica e sociale. Perché solo l’agricoltura familiare può garantire la sicurezza alimentare, gestire le risorse naturali e proteggere l’ambiente. La Fame zero non può essere raggiunta senza il sostegno all’agricoltura familiare, né può esserci transizione ecologica senza agricoltura contadina. In India da decenni si discute della necessità di riforme agrarie e potenziamento delle politiche di sostegno all’agricoltura, ma quello che sta avvenendo in questi mesi mostra che il governo di Narendra Modi si muove in direzione opposta.

NEL SETTEMBRE DEL 2020 IL PARLAMENTO ha approvato tre leggi sull’agricoltura, definite dai contadini «leggi nere», che liberalizzano il mercato agricolo e cancellano le misure di sostegno ai piccoli produttori in nome della «modernizzazione» del settore. Il sistema di regolamentazione finora in vigore riusciva a tutelare, parzialmente, le piccole aziende agricole che potevano contare su un prezzo minimo garantito per i loro prodotti, venduti e scambiati sotto il controllo pubblico. Le nuove norme introducono il libero commercio dei prodotti in nome del libero mercato, abolendo i sussidi statali e favorendo gli investimenti privati. Si introduce, inoltre, la possibilità per le grandi imprese private di acquistare i prodotti agricoli senza alcun limite quantitativo, col risultato che saranno i grandi gruppi agro-alimentari a determinare i prezzi da riconoscere agli agricoltori. Di fronte alla prospettiva di un mercato non più regolamentato dallo Stato ma dalle corporazioni, senza più un prezzo minimo garantito e alcun limite all’accaparramento dei loro prodotti, nella prospettiva di un aumento della povertà, i contadini indiani hanno opposto in questi mesi una resistenza attiva.

NEL PUNJAB, CUORE DELLA PRODUZIONE agricola indiana, Haryana, Uttar Pradesh, le comunità agricole sono insorte, coinvolgendo gli agricoltori di tutto il paese. Si è creato il più vasto movimento contadino della storia, denominato Dilhi Chalo («Andiamo a Delhi»), che ha messo in atto accampamenti e presidi in tutte le aree agricole. Sono stati organizzati scioperi che per dimensione e imponenza non hanno precedenti, con la partecipazione attiva di 250 milioni di contadini. Anche i lavoratori di altri settori si sono schierati a fianco dei contadini, con i camionisti che hanno organizzato il blocco del trasporto dei prodotti agricoli. Nell’ultima manifestazione del 26 gennaio, che coincide con la Festa della Repubblica indiana, Nuova Delhi è stata invasa da centinaia di migliaia di contadini che erano accampati nei dintorni della città per invocare l’immediato ritiro delle «leggi nere».

IL GOVERNO HA REAGITO ORDINANDO il blocco di internet per impedire le comunicazioni, mentre la polizia si scatenava nei confronti dei manifestanti, producendo centinaia di feriti e arresti. Sono più di 70 i contadini morti nel corso delle manifestazioni di questi mesi. Le iniziative dei contadini hanno prodotto un primo risultato: la Corte Suprema ha sospeso per 18 mesi l’applicazione delle tre leggi e ha istituito una commissione per ascoltare le richieste degli agricoltori. Il presidente della Corte, nel commentare la sospensione, si chiedeva «cosa ci fanno le donne nelle manifestazioni».

LA REALTÀ È CHE LE DONNE rappresentano più del 50% dei lavoratori nelle campagne indiane, in una condizione lavorativa difficile e in una realtà di malessere sociale che provoca ogni anno decine di migliaia di suicidi tra agricoltori indiani. Secondo i dati del National Crime Records Bureau, dal 1995 a oggi sono stati quasi 400 mila i «suicidi per disperazione», indotti dalle condizioni di povertà e dai debiti contratti che i contadini non riescono a ripagare. Per fermare le proteste il governo si è detto disponibile a introdurre delle modifiche, promuovendo incontri con i rappresentanti degli agricoltori.

MA I CONTADINI VOGLIONO la cancellazione integrale delle leggi. Lo scontro è destinato ad andare avanti, perché quella dei contadini indiani è una lotta per l’esistenza. Così come avviene in tutti i paesi in cui l’agricoltura familiare viene strangolata dall’agrobusiness.