«Il presidente Michel Suleiman prenda immediate misure per impedire a Hezbollah di interferire negli affari interni della Siria o nelle prossime 24 ore Beirut sarà in fiamme». Ha un’importanza relativa capire se a lanciare questa minaccia sia stato il comando del Fronte al Nusra, alleato di al Qaeda, o l’ala libanese di questo gruppo jihadista impegnato nella “guerra santa” contro l’apostata Bashar Assad. Ciò che conta è che la guerra civile siriana si combatte sempre di più anche in Libano. Per ora con le parole, in futuro forse con le armi. I sunniti libanesi più militanti hanno reagito con stizza al sostegno ormai aperto che il movimento sciita Hezbollah sta dando all’Esercito siriano, pare con centinaia di combattenti delle sue unità di elite, nella battaglia decisiva in corso per la conquista del territorio strategico di Qusair, tra Homs e il confine con il Libano.

L’altro giorno l’influente sceicco salafita Ahmad al Assir, nemico giurato degli sciiti, dalla sua roccaforte di Sidone ha chiamato al jihad contro Hezbollah e la Siria di Bashar Assad. Una protesta durissima è giunta anche dal leader sunnita ed ex premier Saad Hariri. Non è possibile accertare quanti abbiano accolto l’appello al jihad anti-Hezbollah e quanti si preparino a farlo. Ma sunniti o sciiti, sono sempre più numerosi i libanesi che partono per la guerra di religione e degli interessi strategici contrapposti in corso in Siria. Si aggiungono alle migliaia di sunniti jihadisti di ogni parte del mondo islamico e di combattenti sciiti in maggioranza iracheni, che si sparano addosso dalle trincee contrapposte. Proprio ieri Gilles de Kerchove, capo dell’antiterrorismo europeo ha calcolato in almeno 500 gli europei che combattono al fianco delle forze ribelli in Siria. La Gran Bretagna, l’Irlanda e la Francia sono i Paesi dell’Ue con il maggior numero di combattenti in Siria. Pare, secondo indiscrezioni, che del jihadismo in Siria abbiamo discusso due giorni fa, tra i vari temi, Barack Obama e l’rmiro del Qatar, Hamad bin Khalifa al Thani, il sostenitore più accanito, con fondi e armi, delle milizie ribelli. Gli Usa fanno sapere di essere preoccupati dalla supremazia delle formazioni jihadiste su tutte le altre che combattono contro l’esercito siriano. E ieri l’agenzia di stampa americana Ap ha messo in rete un servizio che racconta del disappunto delle formazioni ribelli laiche per il ruolo del Qatar a sostegno degli islamisti. Doha ha imposto lo scorso marzo a capo del governo provvisorio dei ribelli – ancora inesistente – Ghassan Hitto, legato agli alleati Fratelli Musulmani, provocando le dimissioni del capo della Coalizione Nazionale dell’opposizione Muaz al Khatib.

Sulle due sponde dell’Oronte si combatte una battaglia che potrebbe risultare decisiva, come le tante altre del passato avvenute lungo questo fiume che gli arabi chiamano al Asi. E’ la battaglia per la conquista di Qusair da mesi nelle mani dei ribelli. Lo stesso Assad ha sottolineato nei giorni scorsi l’importanza della vittoria in questo corridoio strategico. Dalla sua parte stanno combattendo centinaia di uomini di Hezbollah allo scopo dichiarato di “difendere” le migliaia di sciiti di origine libanese che vivono in quest’area. I comandanti militari del movimento sciita hanno ammesso l’impegno nella battaglia precisando però che i combattenti sono siriani sciiti legati in vario modo a Hezbollah. Di certo c’è che l’organizzazione di Hassan Nasrallah non maschera più il suo intervento. La partita in gioco è troppo ampia: la fine o la sopravvivenza dell’alleanza strategica Iran-Siria-Hezbollah, che i detrattori sunniti definiscono la «Mezzaluna sciita» sul Medio Oriente. Hezbollah si prepara a tutti gli scenari, anche al dopo-Assad, spiegano gli analisti, ma intende fare quanto è in suo potere per aiutare l’alleato siriano. Non tutti i sostenitori di Hezbollah tuttavia approvano questo coinvolgimento tanto ampio in Siria e ricordano che il movimento aveva rivolto sino ad oggi la sua forza militare solo contro Israele. E ad accrescere il malumore è il rientro in patria delle salme dei combattenti di Hezbollah caduti in battaglia. Due giorni fa a dare spazio alle perplessità di tanti è stato anche Ibrahim al Amin, direttore del quotidiano al Akhbar che pure è considerato vicino a Hezbollah e alla resistenza libanese.

Chi prende la collina siriana di Kadesh controlla quasi tutta la regione di Qusair. Assad lo sa bene. E il suo esercito con la copertura dell’aviazione e l’aiuto di Hezbollah ha quasi recuperato il controllo di questo corridorio di terra che mette in collegamento Damasco con il mare. Per il presidente siriano è vitale riprendere i territori di confine con il Libano e la Giordania per impedire che possano essere trasformati in «zone cuscinetto» volte a garantire armi, viveri e molto altro ai ribelli (Amman progetta di crearne una all’interno della Siria, nella zona di Deraa). Qusair serve ad Assad anche per garantirsi l’eventuale realizzazione di un «piano B»: la costituzione di un’entità sotto il suo controllo nella roccaforte alawita di Latakiya, sul Mediterraneo, in caso di perdita di Damasco e della frantumazione del Siria.

Si combatte in queste ore anche per l’aeroporto di Minnigh, nel nord del Paese, una struttura militare chiave che i ribelli hanno attaccato più volte per colpire le vie di rifornimento alle truppe governative ad Aleppo. Nella città ieri è andato distrutto sotto ai combattimenti l’antico e bellissimo minareto della moschea degli Omayyadi, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. I media statali accusano dell’accaduto i ”terroristi del Fronte al-Nusra”, i ribelli puntano l’indice contro l’Esercito. Un colpo di mortaio ha fatto 13 morti a Jaramana, un sobborgo di Damasco abitato a maggioranza da cristiani e drusi.  Sono stati finalmente liberati i due vescovi cristiani ortodossi rapiti tre giorni da uomini armati. Resta in primo piano anche la questione delle armi chimiche. Il ministro dell’informazione siriano, Umran Ahid al-Zabi, ha affermato ieri che «Per ragioni etiche» la Siria non si servirà mai di agenti chimici neppure nell’eventualità di una guerra contro Israele e tanto meno le utilizzerebbe ai danni dei propri connazionali, oppositori compresi.