L’organizzazione sociale più grande del paese, l’ultimo baluardo della sinistra in Italia. Il congresso della Cgil è un percorso democratico sin troppo lungo in tempo di populismo imperante, si pone come antidoto partecipativo ma rischia di impigliarsi nella divisione interna.

Si è partiti la scorsa primavera con migliaia di assemblee sui luoghi di lavoro e si chiuderà a Bari dal 22 al 24 gennaio con l’elezione del nuovo segretario attraverso il passaggio nella Assemblea generale.

Dieci mesi di discussione e confronto su un documento che ha avuto consensi bulgari – «Il lavoro è…» è stato votato dal 98 per cento degli iscritti contro il 2% di «Riconquistiamo tutto!» – ma che vedrà per la prima volta nella storia del sindacato due candidati alla successione di Susanna Camusso presentarsi al congresso.

All’indicazione di Maurizio Landini fatta dalla stessa Camusso il 9 ottobre, appoggiata da 7 componenti su 9 della segreteria confederale, da gran parte dei territori e categorie è seguita proprio in questi giorni quella di Vincenzo Colla, formalizzata a congressi di categoria finiti.

Una contrapposizione difficilmente spiegabile sul piano programmatico – «diverse sensibilità» – ancora di meno a livello di classe dirigente: furono proprio i pensionati – principali sostenitori di Colla – a proporre nell’estate 2017 l’ingresso di Landini in segreteria confederale in chiave di ricomposizione unitaria.

Il congresso della Cgil ha una valenza più vasta di quella sindacale. «Il vecchio arnese», «quelli che mettono il gettone nell’iPhone» che Matteo Renzi voleva rottamare hanno lottato per sopravvivere, cambiando prima di tutto loro stessi.

Dal 2015 a oggi la Cgil è diventata battagliera, lanciandosi in tutta una serie di prime volte – Carta dei diritti universali che unifica i lavoratori senza distinzioni di contratto e condizioni, referendum abrogativi – che ne hanno fatto l’unico punto di riferimento rimasto per coloro che vogliono lottare per i diritti in un mondo del lavoro sempre più diviso e ridotto ad una guerra fra poveri.

In questo cambiamento che ha riavvicinato i giovani al sindacato sta il terreno di ricomposizione della Cgil. La trasformazione che ha portato Susanna Camusso a riallacciare i fili con la Fiom e con Landini e a superare i contrasti.

Dai lavoratori della gig economy alle cassiere degli ipermercati, dai migranti che riempiono le nostre campagne ai facchini della logistica la richiesta di una nuova stagione di lotta e di nuovi diritti è l’unica via di riscatto per una sinistra che sta pian piano sparendo dai radar politici.

Quel «nuovo modello di sviluppo» storicamente rivendicato dalla Fiom e da Landini è il vessillo su cui ricostruire un’idea di sinistra in Italia.

Una sinistra in cui il sindacato sia uno sprone, un soggetto politico sempre però autonomo e indipendente dai partiti.

A Bari si vedrà se tutto ciò sarà davvero possibile.