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La battaglia di Crevalcore riguarda tutti noi

La battaglia di Crevalcore  riguarda tutti noiL'entrata della Magneti Marelli – Lapresse

Magneti Marelli Alla Magneti Marelli di Crevalcore (Bologna) si producono pressofusi di alluminio e collettori di aspirazione. Si tratta di componenti indispensabili per i motori endotermici e come tali sempre meno richiesti […]

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 29 settembre 2023

Alla Magneti Marelli di Crevalcore (Bologna) si producono pressofusi di alluminio e collettori di aspirazione. Si tratta di componenti indispensabili per i motori endotermici e come tali sempre meno richiesti da un mercato dell’auto sempre più orientato alla conversione verso l’elettrico. Così il 19 settembre scorso la proprietà comunica l’intenzione di chiudere lo stabilimento, con conseguente licenziamento di 230 lavoratrici e lavoratori. La risposta operaia e dei sindacati e istituzioni locali è immediata. Si organizza un presidio permanente, si bloccano i cancelli, si apre una vertenza che da subito ha la capacità di assumere un rilievo nazionale. a proprietà è quindi costretta a congelare la procedura e avviare un giro di confronti con la Regione, il Ministero e le parti sociali.
Fin qui i fatti più immediati.

A questi dovemmo aggiungere una pluriennale assenza di investimenti sul sito produttivo, trattato di fatto come il primo anello debole su cui scaricare l’avvio del processo di ristrutturazione del Gruppo. Soprattutto è indispensabile ricordare la scelta operata dalla famiglia Elkann-Agnelli nel 2019 di cedere Magneti Marelli al fondo statunitense KKR per 5,8 miliardi di euro, con una plusvalenza di 1 miliardo immediatamente distribuita agli azionisti, ovvero la famiglia stessa. Si rompe così il legame con l’allora Fca, già avviata al percorso che da lí a due anni l’avrebbe portata ad essere incorporata nella gruppo Stellantis, a controllo francese e con cattivi presagi visibili a chiunque per l’industria italiana dell’auto.

Le destra allora tacque in larga compagnia, mentre oggi reagisce con il solito attacco ad alzo zero alle politiche di transizione volute dall’Unione europea, accusate di essere responsabili della soppressione di posti di lavoro in nome dell’ideologia green.
Come se il cambiamento climatico non fosse una realtà e il taglio delle emissioni un’esigenza conseguente, che sarebbe criminale negare in nome della propaganda.

D’altra parte, altrettanto lo sarebbe innescare il pilota automatico e pensare che il mercato possa determinare la ristrutturazione del sistema industriale senza ricadute socialmente inaccettabili, soprattutto nel momento in cui la torsione nazionalista del processo di globalizzazione mette in discussione l’organizzazione delle catene del valore. Oggi l’Italia non è più un grande produttore di auto e soprattutto non dispone più di una testa nazionale in grado di orientare la filiera.
È quindi esposta a tutti le tensioni e decisioni che hanno origine altrove.

Ha davanti a sé due strade: la progressiva de-industrualizzazione, a mano a mano che la sua posizione di fornitrice di beni intermedi si renda sempre meno necessaria.
Oppure la costituzione di nuove filiere aggiornate alle esigenze dei tempi presenti, che spingano la riconversione di siti produttivi altrimenti destinati all’obsolescenza.
Questa seconda opzione ha la necessità di ingenti investimenti, di una capacità di pensiero strategico, incompatibile con le esigenze di profitto immediato, di una ritrovata missione nazionale che sappia coinvolgere l’Università, le istituzioni ad ogni livello, le nostre migliori intelligenze e capacità oggi emigrate all’estero per mancanza di prospettiva e opportunità.

Questa seconda strada può innestarsi solo su un rinnovato intervento pubblico diretto alla testa del ciclo economico, vista la storica, presente e conclamata carenza del capitale privato. Avrebbe dovuto essere il centro del Pnrr, ma due governi privi di visione e bloccati sul piano ideologico hanno preferito disperdere le risorse in mille rivoli.
Insieme al tema dei salari, la proposta di una politica industriale intesa nel suo senso compiuto può essere il cuore di un’alternativa reale per l’opposizione.
Per questo la lotta di Crevalcore è decisiva per tutti noi: si tratta di difendere i posti di lavoro e un importante presidio industriale, ma soprattutto di comprendere che l’unico modo per vincere è cambiare gioco.

* responsabile economia di
Sinistra Italiana

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