Il governo polacco dispiega i militari nelle strade del paese ma le donne continuano a prendere coraggio contro la messa al bando dell’aborto terapeutico. Sono giorni che le manifestanti ribadiscono il proprio nie alle restrizioni sull’interruzione di gravidanza introdotte la settimana scorsa con una sentenza emessa del Tribunale costituzionale vicino al governo della destra populista di Diritto e giustizia (PiS).

DOPO LE PROTESTE e i cortei serali dei giorni scorsi ieri finalmente le polacche si sono ritrovate in strada già a partire dall’una di pomeriggio complice uno sciopero nazionale tutto al femminile che ha mandato in tilt il paese intero. «Visto che la Polonia non funziona fermiamola! Ne faremo una nuova!», è l’appello lanciato dalla sigla «Sciopero nazionale delle donne» (Osk) a cui la società civile ha risposto presente anche nei centri medi e medio piccoli del paese. C’è chi ha beneficiato di un permesso di qualche ora per assentarsi dal luogo di lavoro e chi invece ha preso un giorno di ferie, talvolta non retribuito.

La dirigenza del Pis aveva creduto ingenuamente che i polacchi avrebbero rispettato il divieto di assembramento di più di 5 persone attualmente in vigore in tutto il paese a causa dell’epidemia di Covid-19. Hanno aderito alla protesta anche Hanna Zdanowska, sindaca di Lodz, terza città del paese, che ha postato sui social la foto della sua sedia vuota in ufficio, e il sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski.

Con il tempo parzialmente nuvoloso di ieri in tutta Polonia non c’è stato bisogno di aprire gli ombrelli scuri come quattro anni fa quando la massiccia mobilitazione sotto la pioggia del «lunedì nero» aveva poi spinto il PiS a cestinare una proposta di legge che mirava a introdurre il divieto totale di aborto. Quella che doveva essere una mobilitazione contro il verdetto choc dell’alta corte polacca che sancisce l’impossibilità di interrompere volontariamente la gestazione in caso di malformazioni del feto – più del 90% degli aborti praticati legalmente ogni anno in Polonia – si è invece progressivamente trasformata in una protesta contro il governo tout court.

DUE GIORNI FA il numero uno del PiS e vicepremier polacco Jarosław Kaczynski aveva lanciato su Facebook un appello video in cui chiedeva di difendere le chiese polacche costi quel che costi. A molti non è piaciuto il fatto che il fratello gemello dell’ex-presidente Lech, scomparso dieci anni fa nella catastrofe aerea di Smolensk, si sia messo a giocare con la storia indossando sulla giacca una spilla con la kotwica, il simbolo della resistenza clandestina durante l’occupazione nazista.

L’intervento di Kaczynski ha fatto scattare l’ironia di molti cittadini sui social network che hanno paragonato il suo discorso minaccioso alla famosa diretta televisiva del 13 dicembre 1981 quando il generale dell’esercito Wojciech Jaruzelski, dichiarò la legge marziale in Polonia. «Mettete a repentaglio la vita della maggioranza delle persone, siete dei criminali!», ha tuonato ieri il vicepremier dai banchi del Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, puntando il dito contro l’opposizione colpevole a sua detta di soffiare sul fuoco della protesta.

Altri esponenti del PiS hanno provato invece a cambiare tono presentando l’abolizione dell’aborto terapeutico come una necessità per tutelare il diritto alla vita dei feti portatori di sindrome di Down. A spingere per questa narrazione ci hanno provato il premier polacco Mateusz Morawiecki nonché l’europarlamentare ed ex sottosegretario alla Giustizia Patryk Jaki. «Questa sentenza è un segnale ufficiale che i bambini diversamente abili non possono essere eliminati. La maggior parte degli aborti riguarda proprio questi casi», aveva dichiarato Jaki, padre di un figlio affetto da sindrome di Down, all’indomani del pronunciamento della corte.

IN VERITÀ molto spesso le donne ricorrono all’interruzione volontaria di gravidanza dopo essere venute a conoscenza di altri tipi di danni al feto che spesso sono irreversibili. La posta in palio al momento è altissima. E per questo che le donne in Polonia sono pronte a tutto per scongiurare il rischio di dover ricorrere ancora più spesso alla clandestinità in patria oppure a di abortire all’estero.