Mentre in questi giorni sul Recovery Plan leggiamo di un’Italia trasformata, secondo il ministero della cultura, in un grande parco a tema fatto di borghi e cammini e treni storici e parchi come quella dell’Appia antica che dovrebbero essere il fiore all’occhiello di un nuovo turismo sostenibile a fronte di un investimento di centinaia di milioni di euro, a Roma c’è una storia che sembra paradigmatica rispetto a quello che significa una reale transizione ecologica che richiede molto meno dal punto di vista degli investimenti ma è costata trent’anni di lotte per la cura dei beni comuni; non ancora finite.

La storia del lago dell’Ex Snia potrebbe essere il modello della politica futura della città, e invece è ancora una penosissima vicenda di soprusi. Riassumiamola: nell’area dell’ex fabbrica tessile della Snia Viscosa nel cuore del quartiere Prenestino, a quattro chilometri dalla stazione Termini, c’è un lago. È nato negli anni Novanta: gli operai del cantiere che qui dovevano costruire un centro commerciale con parcheggio bucarono la falda acquifera che scorre sotterranea. L’acqua bullicante, quella che dà il nome a tutta la zona intorno alla Prenestina all’altezza di Tor Pignattara, sgorgò e formò un lago di acqua potabile, grande 10mila metri quadri di superficie, che ora è lì e ha creato intorno un’area naturale meravigliosa.

L’immobiliarista, Antonio Pulcini, non si arrese, nonostante le indagini, i sequestri, e soprattutto l’evidenza. Trent’anni dopo Pulcini, tramite la società Ponente 1978 è ancora lì, a rinnovare la sua volontà predatoria; mentre il lago è stato riqualificato dalle associazioni non solo di quartiere, ed è un miracolo permanente più che un gioiello; un anno fa la regione ha dichiarato il lago monumento naturale riconoscendo l’incredibile processo di ri-naturalizzazione (una rigenerazione ambientale unica, ammirata da scienziati e ambientalisti di tutto il mondo), ma il perimetro di questo monumento non comprende l’area di archeologia industriale della Snia ancora di proprietà dell’immobiliarista. In questi giorni quell’area, mai curata, mai recuperata all’uso pubblico, sta subendo l’ennesimo scempio: una devastazione compiuta in pieno giorno dalle ruspe, che creano un danno irreparabile all’ecosistema cresciuto intorno al lago. Le foto dall’alto sono impressionanti: da una parte della staccionata che segna il confine tra privato e pubblico c’è un deserto, dall’altra un paradiso.

Ma non si tratta solo di denunciare e contrastare questa sfrontata violenza sociale: intorno alla lotta per il lago è cresciuta una comunità di attivisti che definire plurale è riduttivo. Scienziati, archeologici, geografi, professori universitari, maestri, pensionati e famiglie, i ragazzi che ormai sono diventati cinquantenni del centro sociale dell’ex Snia, e gli studenti delle scuole non solo del quartiere che in questi anni hanno formato la propria coscienza ambientalista non solo sulle battaglie globali contro il cambiamento climatico o la deforestazione ma attraverso una quantità infinita di iniziative per la tutela del parco.

Il Forum parco delle energie è esemplare di come si possa creare una rete sociale di istituzioni e cittadinanza, comprendendo comitati di quartiere e associazioni come il Wwf, università e centri sociali, scienziati fino ai giuristi che in questi giorni hanno chiesto un’urgente istanza di «accesso civico, informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti alle amministrazioni pubbliche, alla polizia giudiziaria e alla magistratura competenti in relazione all’avvio di devastanti lavori di taglio di alberi, arbusti e altra vegetazione ad opera di una società immobiliare nell’area degli stabilimenti industriali dismessi».

Quanto può essere quindi non solo arrogante la logica delle ruspe in azione in questi giorni, ma stupida e fuori dal tempo! Eppure la vediamo replicata ovunque ci sia una reale mobilitazione per una transizione ecologica che preveda il rispetto non solo della natura ma dei saperi politici dei territori. Le ruspe al parco della Snia sono ributtanti e vigliacche come quelle nella Val di Susa: sono il simbolo di una distruzione planetaria, e mostrano chiaramente quale è il campo di battaglia nelle aree urbane e in quelle extraurbane: tra la città privata e la città pubblica, tra le privatizzazioni predatorie e gli usi benicomunisti.

Per tre decenni un’area industriale che ha contribuito a rendere il Prenestino una delle zone più inquinate di Roma è stata progressivamente trasformata; ora occorre un intervento di autorità giudiziarie che ricordino di tutte due le righe dell’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Il lago dell’ex Snia invaso dalla città il 25 aprile e il Primo Maggio è il simbolo del tempo che ci aspetta dopo la pandemia; per dare corpo a questo futuro occorre un immediato sequestro preventivo sull’area vicina per evitare ulteriori danni ambientali e al patrimonio culturale. È di ieri la lettera di Roma Natura che ribadisce l’assoluta urgenza di fermare le ruspe, lo scempio ambientale e di realizzare il parco che Roma da trent’anni aspetta.