«Ciao mi chiamo Giacomo e sono omosessuale», dice il ragazzo. «Ciao a tutti, sono la mamma di Giacomo e sono lesbica», dice invece la signora che gli sta accanto. «Quando ero sposata con un uomo per lo Stato potevo adottare un bambino, adesso che sto con la mia compagna non posso farlo. Ma io sono sempre la stessa». Bastano poche parole a Giacomo e sua madre per mettere a nudo l’ipocrisia di quella che è forse la classe politica più arretrata d’Europa.

Mamma e figlio parlano dal palco allestito a piazza del Popolo dagli organizzatori di «Diritti alla meta», la manifestazione indetta da trenta associazioni lgbt dopo l’approvazione al Senato del ddl Cirinnà sulle unioni civili. Una legge che non piace al movimento, perché priva le persone omosessuali di un punto importante come la possibilità di adottare il figlio del partner e perché discrimina i loro bambini rispetto a quelli delle coppie eterosessuali. Ma anche perché le offende profondamente, non ritenendo l’amore che provano per il compagno o la compagna degno di un impegno alla fedeltà reciproca.
Eppure quella che si è vista ieri a Roma non è una piazza rancorosa. Il rancore appartiene agli sconfitti e le migliaia di persone che hanno deciso di sfidare la pioggia pur di affermare i loro diritti non lo sono affatto. Anzi, rilanciano le loro rivendicazioni. «Siamo qui perché vogliamo il matrimonio egualitario e le adozioni e anche se il ddl Cirinnà non ci soddisfa sbrigatevi ad approvarlo», è il messaggio che inviano al parlamento.

Piazza del Popolo non è piena come speravano gli organizzatori. A un certo punto dal palco qualcuno parla di 40 mila persone, ma è un’esagerazione. Almeno ventimila, però, ci sono tutte. Tantissime le famiglie omogenitoriali con bambini al seguito, molti i giovani. Come Clara e Maria, 19 e 20 anni, che stanno insieme da un anno. «Oggi non pensiamo certo ad avere un figlio ma in futuro chissà, se staremo ancora insieme…» lascia la frase in sospeso Clara. «Averlo o no è comunque una decisione che spetta solo a noi, e per questo adesso siamo qui».

Il gazebo del Circolo Mario Mieli è pieno di ragazzi e ragazze che si dipingono la faccia con i colori dell’arcobaleno. Si distribuiscono volantini con la piattaforma del movimento, ci sono i palloncini viola della Famiglie Arcobaleno. La delusione per il modo in cui sono stati trattati dal parlamento è scritta tutta sui cartelli che riempiono la piazza: «Mi voglio sposare, non emigrare», «Stepchild stralciata, porcata assicurata», «Di naturale c’è solo l’acqua». Per spiegare la sua delusione nei confronti del movimento di Grillo un ragazzo usa gli stessi luoghi comuni utilizzati comunemente verso le persone omosessuali. «Non ho nulla contro il M5S, ho tanti amici nel M5S, ma…». «Questa è la vita reale», dice la presidente delle Famiglie Arcobaleno, Marilena Grassadonia. «Noi viviamo nei condomini, portiamo i bambini a scuola, facciamo la spesa. Siamo riconosciuti da tutti. Siamo la quotidianità che scrive la storia».

Francesca appeso al collo ha un cartello che dice: «L’articolo 3 della Costituzione garantisce i diritti delle persone, non la pietà». Ha 29 anni, una laurea in scienze politiche e una cascata di capelli rossi che scendono su una sciarpa arcobaleno. «Arrabbiata? No ho solo il rimpianto per le cose che non sono state ottenute», dice. «Non credo che questa classe politica sia pronta per riconoscere il diritto alle adozioni, ma è importante che la società civile si faccia sentire».

Per la verità un po’ di classe politica e sindacale in piazza c’è. C’è la segretaria della Cgil Susanna Camusso (il sindacato ha aderito insieme a Telefono Rosa, Arci, Amnesty, Sel e Rifondazione), i senatori del Pd Luigi Manconi e Sergio Lo Giudice, il coordinatore di Sel Nicola Fratoianni. Si fa vedere anche Stefano Fassina, che dopo essersi confessato con l’Avvenire dichiarandosi contrario alla maternità surrogata che, secondo lui, non è tra le cose per le quali la sinistra dovrebbe battersi, promette l’impegno di Sinistra italiana alla Camera per cambiare il ddl Cirinnà.

Ma la piazza pensa già a un futuro fatto di matrimonio, adozioni, pieni eguaglianza di diritti. Soprattutto per i giovani presenti ,che sono tanti. Senza però dimenticare chi è venuto prima di loro. A ricordarli ci pensa Massimo Pibia, 52 anni, cameriere stagionale a Carbonia, in Sardegna. «Quando il ddl Cirinnà è stato approvato – dice – ho pensato ai tanti che si sono uccisi solo perché omosessuali, e magari qualcuno per la vergogna ha fatto passare la loro morte per un incidente. Adesso, però, le cose stanno cambiando».