A tre giorni dalla ricorrenza del Natale di Roma, si è inaugurato il restauro parziale – durato circa otto anni – della Basilica sotterranea di Porta Maggiore, alla quale si potrà d’ora in poi accedere con frequenza limitata (info e prenotazioni, 0639967700). «La riapertura in concomitanza con la mostra Terra Antica al Colosseo – ha affermato Francesco Prosperetti, Soprintendente speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma – vuole celebrare il valore che la terra, nelle sue molteplici accezioni, aveva presso gli antichi. Questa basilica pagana che, per forma e significato, costituisce un unicum in Occidente, ci riporta a una dimensione sacrale».

Scoperto fortuitamente nell’aprile del 1917 in seguito a un incidente ferroviario che aprì una voragine sotto i binari della piazza di Porta Maggiore, il monumento affascinò da subito archeologi e storici dell’arte per il carattere misterico e la potenza soteriologica delle sue decorazioni. Situato nove metri oltre il livello dell’attuale via Prenestina, esso racchiude un lungo corridoio (dromos) che dalla superficie discendeva fino agli ambienti ipogei, un vestibolo d’ingresso a pianta quadrangolare e una sala di 108 metri quadrati, suddivisa in tre navate sormontate da volte a botte. La navata centrale, più ampia di quelle laterali, termina con un’abside semicircolare, che anticipa lo schema di una basilica cristiana, con la quale – racconta Jerôme Carcopino – i primi visitatori solevano identificare la struttura.
S’ipotizza che la tecnica costruttiva sia consistita in un sistema di scavo, riempimento e successivo svuotamento del terreno. L’illuminazione avveniva attraverso il vestibolo, che presenta un lucernario di singolare taglio architettonico. L’apparato ornamentale è di una raffinatezza pari all’eleganza della Domus Aurea neroniana: affreschi e stucchi campeggiano nel vestibolo e nell’aula basilicale, mosaici in tessere bianche a fasce nere coprono il suolo.

Le raffigurazioni orientano la datazione alla prima metà del I secolo d.C., sebbene siano riconoscibili due fasi di vita. Il pavimento in mosaico dei due ambienti principali si differenzia per la posa in opera e le dimensioni delle tessere. Inoltre, mentre nel vestibolo risalta la policromia degli affreschi, l’Aula è contraddistinta dal bianco – un tempo abbacinante per effetto della polvere di madreperla – degli stucchi.
L’attribuzione dell’edificio sotterraneo alla gens Statilia è un’idea consolidata ma se per Gilles Sauron si tratta della tomba di Tito Statilio Tauro, luogotenente di Augusto e console nell’11 d.C., per Carcopino il monumento ha valenza cultuale e appartiene a un omonimo membro della gens Statilia, il quale – citato in giudizio da Agrippina con l’accusa di superstizione e pratiche magiche – nel 53 d.C. preferì darsi la morte.

I lavori di restauro, sotto la supervisione di Ida Sciortino e Giovanna Bandini, hanno mirato in priorità alla statica della struttura e all’arresto del degrado causato dalle continue infiltrazioni d’acqua. Eppure, l’inquinamento biologico e le vibrazioni della ferrovia che sovrasta il complesso archeologico rendono fragile la sopravvivenza dell’ipogeo, per la cui tutela si attende un’adeguata dotazione finanziaria. Intanto, un progetto di sei mesi consentirà nuovi interventi sugli stucchi, chiave di lettura dei riti che dovevano svolgersi nella profondità della basilica, legati – per la maggior parte degli studiosi – alla dottrina religiosa dei neopitagorici o al dionisismo secondo un’originale interpretazione di Domizia Lanzetta. Oranti, Eroti e Menadi in groppa a pantere spingono lo sguardo al catino absidale, dalla cui altezza la poetessa Saffo si getta all’infinito.

Qui, più che cogliere un messaggio iniziatico ormai svanito con il blu egizio del paramento inferiore, ci lasciamo trasportare dall’immaginazione: il tramonto volge a sera, sacerdoti e mystes si muovono come ombre in cerca di rivelazioni laddove divinità e personaggi della mitologia classica accompagnano le anime sul cammino dell’eternità.