L’enorme scritta luminosa, come quelle delle vetrine di locali e bar per segnalare che sono aperti, è l’opera di luce OPEN dell’artista Riccardo Previdi che attualmente è esposta sull’ingresso principale del Museion a Bolzano, in occasione dei suoi dieci anni di esistenza (e che rimarrà in collezione come rpestito a lungo termine). Che cosa vuol dire Previdi con questa segnaletica gigantesca? Gioca sul filo dell’estetica pop di tanti messaggi pubblicitari, ma applicata al Museion vuole anche riflettere la vocazione stessa di quel luogo: è invito a entrare ma anche un segnale di apertura nel senso lato, ossia apertura mentale e, al contempo, superamento di ogni barriera sul piano politico e geografico che in Alto Adige è investito di doppi e tripli significati e dimensioni. A Bolzano l’artista di origine milanese aveva già presentato il suo libro-catalogo What Next? che raccoglie testi critici, un’intervista e immagini delle sue opere fornendo ottimi strumenti di conoscenza della sua produzione, essendo Previdi architetto di formazione e artista di professione. Dopo quindici anni passati a Berlino, dall’inverno 2016 vive e lavora a Merano. La sua arte incentrata sull’indagine dell’evoluzione di tecnologie e comunicazione nel loro impatto sulle nostre vite è stata argomento anche di un incontro tenutosi alla bolzanina Ar/Ge Kunst nell’ambito dei colloqui di La mia scuola di Architettura, nata sulle tracce dell’ «anarchitetto» Gianni Pettena. Detta serie di incontri regolarmente irregolari punta il focus sulla relazione tra architettura e individuo nei sensi di una riflessione su possibili formati di produzione e trasmissione del sapere in vista di un’espansione della stessa educazione culturale. Riccardo Previdi in dialogo con Frida Carazzato, assistente curatoriale al Museion di Bolzano, ha snocciolato un suo personale abc di approccio al mondo artistico.

La prima presentazione del libro «What Next» fu fatta a Milano, in occasione della mostra «Fun With Flags» nella galleria di Francesca Minini. Ci può dire qualcosa di queste opere?

Punto di partenza era un personaggio di The Big Bang Theory che vede un gruppo di studenti di materie scientifiche, tutti nerd, vivere insieme. Una sit-com a puntate sul cosa significhi essere nerd. Il personaggio più intrigante ha un videoblog, Fun with flags , in cui ama raccontare le differenze delle varie bandiere per il puro piacere di parlare in modo scientifico di vessillologia. Essendo fine a se stessa, i contributi sono esilaranti e gratuiti. Prendo questo spunto ironico per affrontare aspetti meno divertenti: dopo diversi decenni in cui la nazionalità sembrava non avere più un ruolo – la globalizzazione era in via di realizzazione e i cattivi erano le multinazionali -, ora ci ritroviamo in situazioni in cui le «nazioni» tornano a dire la loro. Da quel falso esperanto che era il commercio globalizzato, stiamo dunque tornando a fenomeni come il senso di appartenenza legato a una bandiera piuttosto che a un colore… Riflettendo su questo e avendo da due anni nel mio studio un plotter – acquistato grazie alla mostra di Genova – sono riuscito finalmente a fare una stampa plurima su un unico foglio: inserendolo più volte si ottiene una sovrapposizione di immagini che sinora avevo fatto in photoshop – ossia in modo digitale mentre aspiravo a un risultato ottenuto in modo meccanico.

Qual è la differenza?

Photoshop calcola la tonalità di due rossi sovrapposti per cui risulta, ad esempio, bordeaux e in più ti offre la preview, mentre io volevo essere sorpreso dalla macchina! Lasciare al caso la composizione secondo le regole di previsione che sono sempre le stesse, ma il cui frutto è quello che accade quando il foglio passa sotto la stampante per la seconda volta. La prima l’ho realizzata subito dopo aver ricevuto la macchina e un paio di mesi dopo essermi trasferito a Merano. Ho sovrapposto la bandiera austriaca con quella italiana perché evidentemente era un aspetto che continuava a tornare fuori vivendo qui in Alto Adige. Avevamo appena iscritto nostra figlia all’asilo, in biblioteca si vedevano dipartimenti di bambini italiani e tedeschi, e noi, ingenuamente venendo da Berlino dove tutto si svolge in modo politically correct, avevamo notato che non mancavano gli attriti. Cosa sarebbe accaduto sul foglio? Sul piano dei colori quello che speravo accadesse: la trasparenza genera lo stesso effetto di quando usi gli acquarelli e il blu sopra il giallo genera il verde. Nessuno riconosceva le due bandiere originali nella nuova bandiera generata. Eravamo vicini al lato astratto dell’arte concreta.

Come ha proceduto nell’abbinare le bandiere in seguito?

Ho capito che non erano i confini che volevo toccare, essendo anche loro soltanto un «vessillo». Più le studiavo e più mi rendevo conto che i colori delle singole bandiere avevano un loro significato. Poi mi è venuta l’idea di sovrapporre quelle dei paesi in conflitto: nel passato, nel presente o nel futuro. Queste bandiere si sono poi tradotte in stampe su tavoli, altre su tele appese in alto in galleria e fissate con cerniere a mo’ di ante mobili delle pareti per giocare con la posizione dei vessilli sull’asta. Ho scelto Austria e Italia per la Grande Guerra, Germania e Francia per la seconda guerra mondiale, Russia e Ucraina per il conflitto in corso.
L’idea era trasformare in oggetti di uso quotidiano quelle bandiere, assieme alla storia importante che veicolavano. L’oggetto acquisiva così una funzione risultando «piegato» a un utilizzo aperto a tutti, invece di essere opera d’arte elitaria. Durante l’inaugurazione ho voluto cose appoggiate su quei tavoli e alla domanda se ciò faceva parte dell’opera rispondevo: «No!, l’opera è il tavolo». Su uno c’erano i biscottini cinesi di buona fortuna: per contrasto al fatto che poggiavano su un piano intriso di malessere storico.

Un altro gruppo di opere sono i «Red Carpet»…

Sono quadri realizzati con la stampa multipla e interventi manuali di pittura, cioè stampa, pittura e nuova stampa ai fini di ottenere quello che il mio amico e collega Andrea Kvas ha definito un sandwich! Le immagini di partenza sono serate di gala, come quelle della Notte degli Oscar o dell’inaugurazione di Cannes e Venezia, il cui soggetto sono attrici, starlet, it girl che indossano abiti spettacolari, il più delle volte confezionati esclusivamente per quelle speciali occasioni. Soggetti per lo più femminili, che rimuovo, per focalizzare gli elementi che compongono l’ambiente: il tappeto rosso, le pareti con gli sponsor, i fotografi, gli abiti e le bandiere. Queste ultime presenti dappertutto, ci ricordano che oltre all’aspetto scintillante e mondano del concorso persiste la memoria di antichi conflitti. Può sembrare eccessivo ma queste manifestazioni sono una versione edulcorata di quello che sono stati gli scontri bellici fra i paesi partecipanti.

Dove vengono scovate le foto poi elaborate?

Sui siti di immagini, come Getty Images o Reuters. Scelgo sulla base dello sfondo e dell’abito indossato che poi è il vero protagonista. Intervengo con un pennello materialmente, sulla stampa, e con una tavoletta grafica tolgo i dettagli che identificano la persona per lasciare unicamente abito, tappeto rosso e background. Le opere Red Carpet sono quadri piuttosto grandi 140 x 200 cm, una dimensione possibile solo cucendo tra loro due tele. Il risultato sono presenze fuori fuoco, sdoppiate, sfarfallanti. Abiti privati di chi li ha indossati si muovono in un’arena scintillante.