«Il passato … riporterà a galla il mio segreto… niente viene dimenticato… non c’è profondità abbastanza profonda perché il tempo non riesca a portarla in superficie»: parole profetiche quelle del giovane soldato della Wehrmacht Walter Proska, alter ego del celebre scrittore tedesco Siegfried Lenz, che a distanza di sessantacinque anni avrebbe visto finalmente riaffiorare dal «profondo e imperscrutabile pozzo del passato» di manniana memoria un’opera composta a soli pochi anni dalla fine della guerra: Die Überläufer, Il disertore (traduzione e e apparato critico a cura di Riccardo Cravero, Neri Pozza, pp. 268, € 17,50).

Una vicenda complicata e emblematica quella del romanzo del giovane Lenz, che se lo vide rifiutare dal suo fedele editore Hoffmann und Campe – il quale lo avrebbe pubblicato solo postumo, nel 2016, con una tiratura di ben 50.000 copie – benche fosse stato già annunciato nel 1951, quando era ancora in corso d’opera. All’epoca redattore delle pagine culturali del quotidiano Die Welt, Lenz era già noto per il romanzo Es waren Habichte in der Luft (C’erano sparvieri nell’aria), il cui apprezzamento da parte della critica sarebbe valso al suo autore un contratto con la Hoffmann und Campe per un nuovo libro. Certo di aver scoperto uno scrittore giovane e promettente, l’editore inviò il dattiloscritto di questo nuovo romanzo ancora incompleto a Die Zeit, alla Neue Zeitung di Monaco e alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, ma il pubblico non arrivò a conoscere il seguito delle vicende della lotta tra una manciata di soldati della Wehrmach di stanza a Waldesruh, un forte del fronte orientale, e i partigiani polacchi, perché il seguito dei capitoli sarebbe rimasto chiuso in un cassetto fino al nuovo millennio.

Dietro alla vicenda, il nome del germanista Otto Görner, editor del romanzo, che dopo un iniziale consenso, rifiutò per «motivi di contenuto» la seconda parte del romanzo, quella da cui avrebbe tratto il titolo definitivo. Vi si racconta la decisione del soldato Walter Proska, nell’ultima estate della guerra, di abbandonare il suo esercito per passare all’altro fronte, con i partigiani polacchi e l’Armata rossa. Nell’epoca di Adenauer, Görner – peraltro ex nazista convinto – ammonì Lenz dicendogli che avrebbe rischiato di «arrecare un danno enorme a se stesso». E, aggiungeva «non potranno aiutarla nemmeno i suoi buoni rapporti con giornali e radio».

Un intellettuale d’azione
Il giovane scrittore, che nulla poteva contro l’autorità di Görner, nel timore di rompere i rapporti con la casa editrice accettò di pubblicare come novella «a data da destinarsi» soltanto la prima parte del suo romanzo, una soluzione destinata a cadere anch’essa nel vuoto, poiché nemmeno questa tranche averebbe visto la luce. Ma per Lenz «i ricordi non servono a molto. Sono pesanti come sacchi di zucchero. Chi se li porta sempre dietro, arriva il giorno che cade in ginocchio. Non mi piacciono i ricordi, ogni giorno è nuovo, niente si ripete», e perciò passa ai fatti. È un intellettuale che preferisce l’azione al pensiero, perché «con i soli sforzi del pensiero non si va da nessuna parte», fa dichiarare a Wolfgang «Pandilatte», l’imberbe compagno di guarnigione di Walter che per primo cambierà fronte: «Dovremmo impiegare le nostre forze per preparare un futuro in cui poter trovare un giorno rifugio. (…) Il pacifismo passivo, inerte, è uno spettro impotente. Dobbiamo trovare una forma di pacifismo attivo.»

La vicenda di Walter Proska è naturalmente autobiografica: poco prima del tracollo tedesco, Lenz disertò per riparare in Danimarca, dove sarebbe diventato cittadino onorario. L’intera sua opera letteraria – quindici romanzi, tra cui il capolavoro e best-seller degli anni settanta Lezioni di tedesco, una trentina di raccolte di racconti, drammi radiofonici e teatrali – racconta il dramma del conflitto tra coscienza individuale e istituzione, un dramma che conobbe la sua acme nella Germania nazista e lasciò strascichi inestinguibili nella generazione che ne fu protagonista. Alla fine della guerra, parte di quegli uomini – Günter Grass, Martin Walser, Hans Magnus Enzensberger, tra gli altri – avrebbe fondato il leggendario Gruppo 47, nell’intento di scoprire le radici di una cultura tedesca non distorta dal mito nazista, per vincere finalmente quel risentimento conseguente al famigerato Patto di Versailles, «radice della presunta superiorità tedesca e fonte di uno stramaledetto senso di predestinazione».

Se nulla di nuovo accadde sul fronte occidentale, Lenz dimostra che a seguito della Seconda mano – la «rivincita» –, le novità dal fronte orientale furono parecchie: era una torrida estate sulle paludi della Masuria infestate di zanzare e di raffiche di mitra dei partigiani polacchi, quando alcuni soldati della Wehrmacht arrivarono a conclusioni ineludibili: «Bisogna avere la forza di dare un calcio a una cosa a cui si è corso dietro per vent’anni quando si arriva a riconoscere che questa non è solo sbagliata, ma anche cattiva, subdola, pericolosa e assassina. Dobbiamo guardarci dai pifferai nazionalisti. (…) Dobbiamo scarriolare nei cuori il letame della libertà e piantarci sopra lo scetticismo».

Scrittura sapida e veloce
La coscienza individuale, nei personaggi di Lenz, ha corroso come una tarma il mito dello Stato hegeliano mostrando che le sue fondamenta affondavano su un senso dell’utile astutamente portato a coincidere con la morale, laddove le leggi sono soltanto «brutalità ordinata, imbrigliata» e anche il dovere nei confronti dello Stato è una sorta di entusiasmo condensato in lattina, «conservabile, pronto per essere distribuito, immagazzinabile a piacimento», perché chi pratica la guerra per mestiere è un criminale, e i criminali sono una «cricca» a cui il soldato immerso nella palude tiepida non può nemmeno avvicinarsi.
La prima parte del romanzo di Lenz schizza via rapida come una ventata di proiettili e la scrittura è una rete tesissima intessuta di dialoghi fulminei alla Hemingway – uno degli scrittori più amati da Lenz : a ragione poteva essere fatto passare dal suo editore come l’ennesimo romanzo di guerra, il cui pregio stava in una scrittura sapida e trascinante. Quanto alla seconda parte, il suo famigerato «contenuto» additato da Görner, non lascia scampo alla coscienza del lettore. Le maglie della rete narrativa si stringono e il protagonista del romanzo, sebbene guardando altrove, preso dal timore delle recriminazioni della Wehrmacht, ma smarrito dinanzi alle scelte e alle minacce di un’imprevedibile Armata rossa, punta il dito contro il singolo, riconoscendo sì che «la pazienza è legittima difesa», ma ricordandogli che «chi va a letto con la libertà deve anche difenderla con ogni mezzo».