Quando a metà degli anni Sessanta Andy Warhol creò la sua banana e la lasciò galleggiare in mezzo al vuoto, nella copertina dell’album Velvet Underground e Nico non poteva certo sapere che si sarebbe trasformata in un frutto d’oro (in effetti, era gialla accecante), un bene di lusso.
Oltre a diventare una delle icone più conosciute della storia dell’arte coniugata alle migliori pagine della musica, quella banana è stata l’oggetto di una contesa legale fra Lou Reed e John Cale (leader dei Velvet di allora) e la Andy Warhol Foundation, «rea» di aver approfittato del simbolo per svendere il logo a un’azienda che produce borse e borselli per Ipad. Del caso, se ne è occupata poco più di un anno fa – non senza qualche imbarazzo – la Corte Federale di Manhattan. Reed e Cale erano convinti che, nonostante la Fondazione dedicata al padre della Pop avesse in concessione i diritti di tutte le sue opere (dal 1987, anno della morte), la storia della banana fosse diversa. Hanno rivendicato l’immagine o, meglio, l’immaginario che produce come proprietà dei Velvet (oltre che di Warhol): l’icona non poteva che essere legata al mitico lp. Volevano bloccare la licenza del logo e il suo sfruttamento commerciale non legato alla musica e alla loro biografia, temendo confusione e associazioni errate tra oggettistica Apple e Velvet. Hanno perso però e Lou Reed, per «raccontare» ai fans l’esito della contesa, pubblicò una «astiosa» banana tagliata a fette su Facebook. In realtà, sembra che le due parti – band e Fondazione – siano venute a patti, ma non si conoscono i dettagli dell’accordo.
Secondo i giudici, comunque, essendo quella banana un’immagine di pubblico dominio (Andy Warhol l’aveva prelevata da un altro contesto, come suo solito) non poteva essere coperta da copyright: l’uso rimaneva libero, a maggior ragione dopo lo scioglimento dei Velvet Underground nel 1972.
Già tredici anni fa, la banana era stata utilizzata nella pubblicità per Absolut Vodka.