L’imperversare degli incendi di questa estate in ogni angolo del territorio della Penisola impone una iniziativa politica non più rinviabile. Non finiscono in cenere, com’è accaduto quest’anno, solo centinaia di migliaia di ettari di bosco, distruggendo talora alberi secolari, uliveti, frutteti, macchia mediterranea, uccidendo un numero non calcolabile di animali selvatici e spesso anche di allevamento. La distruzione non si limita a questo.

Gli incendi bruciano anche il sottobosco e denudano il suolo così che i terreni in pendio, alle prime piogge autunnali, vengono dilavati e perdono lo strato di humus che talora si era formato per processi secolari. Quando le piogge sono intense danno poi luogo a frane e smottamenti che producono nuovi e spesso ingentissimi danni, perché travolgono abitati, aziende, campi. Alle rovine estive si aggiungono quelle invernali.

Private dei boschi, le alture per anni non assolveranno il loro compito fondamentale: quello di trattenere l’acqua piovana e le nevi. I boschi sono grandi serbatoi che trattengono l’acqua meteorica e la fanno percolare nel sottosuolo, dando vita alle sorgenti. Senza alberi e sottobosco l’acqua scende rovinosamente a valle e viene perduta per l’agricoltura e gli altri usi civili.

Vogliamo avanzare delle proposte organizzative da tradurre in proposte legislative. E chiediamo agli amici del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana, e a tutti i gruppi parlamentari che hanno a cuore le sorti del Paese, di avviare in Parlamento una discussione per un DdL che contempli le seguenti proposte.

Dalle esperienze sul campo e dagli studi sul fenomeno degli incendi si possono estrapolare delle coordinate che servano ad orientare l’azione di contrasto:

  1. Il fenomeno degli incendi estivi ha cause sociali mutevoli nel tempo. Pertanto, la risposta non può che essere sociale, di politica territoriale. La tecnologia può aiutare nella prevenzione (sensori, robot,ecc.) ma non risolve il problema.
  2. L’analisi degli ultimi dieci anni sulle superfici attraversate dal fuoco in Italia (dati Corpo Forestale dello Stato) ci dicono che il 50% degli incendi si verifica entro cinque anni negli stessi territori.
  3. In generale, si può affermare che il contrasto agli incendi avviene efficacemente nei territori non abbandonati e sono gli abitanti, ancor prima dei vigili del fuoco o dei canadair, che intervenendo subito riducono notevolmente il danno.
  4. Il successo nella lotta agli incendi sta proprio nella rapidità dell’intervento di spegnimento.

Partendo da questi presupposti il Parco Nazionale dell’Aspromonte ha sperimentato dal 2000 al 2007 un metodo di lotta agli incendi basato su «i contratti di responsabilità territoriale».

Il metodo sperimentato anche nel Parco Nazionale del Pollino ed in altri Parchi regionali ha dato degli ottimi risultati, riuscendo a ridurre mediamente dell’80% la superfice bruciata rispetto alla media degli anni precedenti. Il contratto di responsabilità territoriale impegna associazioni ambientaliste, cooperative sociali, associazioni di protezione civile, singoli contadini e pastori e loro associazioni, a occuparsi di una determinata zona per un periodo di tempo, in genere da giugno a ottobre. Il soggetto che firma il contratto con l’Ente Parco riceverà il 50% del valore del contratto (calcolato in base agli ettari da proteggere) agli inizi dell’attività e l’altro 50% se la superficie bruciata non supera l’1% della superficie data in «adozione» .

A livello nazionale, considerate le zone da proteggere più esposte al rischio incendi e le regioni più colpite, il costo totale dell’operazione di pronto intervento ammonterebbe a 80 milioni di euro l’anno. Una cifra nettamente inferiore a quello che spendono le Regioni con l’affitto di canadair ed elicotteri (che oltre tutto usano spesso l’acqua del mare, con gravi danni all’agricoltura ed alla fertilità della terra) .

Tenendo conto dei dati storici sulle Regioni italiane più colpite dagli incendi negli ultimi venti anni, si potrebbe pensare ad una distribuzione di questi 80 milioni di euro alle seguenti Regioni: Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Abruzzi e Molise, Lazio, Toscana, Liguria. Naturalmente questa somma dovrà essere distribuita in proporzione alla superfice (boscata, macchia mediterranea) da difendere, e ai dati storici sulle aree e territori regionali più colpiti .

Le Regioni che decidono di realizzare i contratti di responsabilità territoriale potrebbero essere aiutate in questo compito dal Corpo Forestale dello Stato che avrebbe una funzione di coordinamento e sostegno alle azioni di spegnimento. In questo modo, pur restando inquadrato nell’Arma dei Carabinieri, il Cfs avrebbe un compito specifico che, in base alla sua esperienza ed alla dotazione di mezzi (quest’anno non utilizzati!!), potrebbe svolgere nel migliore dei modi. Sempre il Cfs potrebbe avere nelle aree boschive, come ha già nelle riserve naturali, quel compito di controllo per impedire azioni illegali e far rispettare i Piani di Gestione Forestale che ogni Regione dovrebbe avviare prima della prossima estate.

I Piani di Gestione Forestale dovrebbero prevedere interventi che riguardano il razionale impiego di manodopera per la manutenzione dei boschi, tempi e modalità d’intervento, fornitura di servizi ecosistemici (ambientali e paesaggistici), valorizzazione economica del bosco subordinata alla sostenibilità ambientale. Inoltre, ogni Regione dovrebbe utilizzare giovani laureati in Scienze Forestali da inserire con mansioni idonee nei Piani di Gestione Forestale, nel coordinamento e monitoraggio degli interventi.

Tonino Perna, Piero Bevilacqua, Giuseppe Barbera, Donato La Mela Veca, Francesco Santopolo, www.officinadeisaperi.it