«Collassa il sistema: ma si salvano i suoi capi», con questo titolo, del tutto appropriato, Lucia Annunziata ha scritto un articolo illuminante sull’ «identità malata del parlamento» che ha approvato con l’ «ennesima lacerazione» una legge elettorale attestante il «collasso del sistema». Contemporaneamente però tale legge conferisce il potere ai capi della piramide dei cacicchi di fare un parlamento di nominati garantendo la sopravvivenza ai capi.

Sbaglieremmo a considerare l’avvenimento come una, seppur grave, questione contingente e non invece la «rivelazione» di un lungo percorso.

L’8 settembre 1943 è la data più tragica della storia dello stato-nazione italiano, quella dove il collasso dell’intero sistema, si concretizzò nella fuga dalle responsabilità dei capi, nella loro fuga fisica. La grande maggioranza di loro si salvò, sommerso rimase il paese.

Ha scritto Emilio Lussu: «Badoglio aveva ordinato che due incrociatori fossero ancorati in permanenza. Ve n’era uno solo! Il re vi si buttò, avido e dietro lui il suo seguito, con urli, schiamazzi, insulti e vie di fatto fra militari, gentiluomini e dame. (…) Ognuno del seguito accampava il diritto di salire a bordo per primo, mentre non v’era posto che per metà degli aspiranti alla fuga. Fu una vera battaglia…».

Così come lo è già quella in atto tra i sottocapi per entrare tra i salvati che potranno assidersi su uno scranno del Parlamento.

Anche l’8 settembre fu una «rivelazione», un «condensato di passato» (Vittorio Foa). Il fascismo aveva fatto di tutto per guarire gli italiani dalla lotta politica, quella vera, quella radicata nel conflitto, nell’antitesi delle idee su modelli di economia e società.

Aveva usato la retorica politica contro il conflitto politico. Ciò significava (e significa) la coltivazione dell’interesse pressoché esclusivo al proprio particulare.

Un particulare di lunga durata che, in altri contesti e in altri modi, ha molte probabilità di avere esiti da 8 settembre.

Tutto l’arco temporale in cui la politica è stata praticata sulla base della teorizzata naturalizzazione dei rapporti economici e sociali esistenti, ne è contrassegnato. Bossi, Berlusconi, Renzi, Salvini (la lista potrebbe allungarsi), protagonisti del «mercato politico», sono gli epigoni di una concezione per cui in tale mercato non esistono limitazioni: tutto è vendibile, tutto può essere oggetto di scambio.

Un contesto che ha fatto saltare qualsiasi confine all’etica politica, già comunque piuttosto elastica, e all’uso senza limite alcuno della menzogna. L’Italia è l’unico grande paese occidentale in cui un delinquente, riconosciuto come tale in sentenza definitiva, uno che ha commesso reati infamanti per qualsiasi cittadino, ma che fanno di un ex presidente del consiglio un uomo politicamente infrequentabile, è tuttora contraente di un patto fondamentale per la configurazione del sistema politico. Nel nostro 8 settembre minor abbiamo naturalizzato anche la criminalità dei potenti. Se Dell’Utri non fosse stato in galera avrebbe avuto certamente un posto di rilievo nel meccanismo pattizio.

Non bisogna «aver paura della parola sinistra», ha detto Veltroni alla festa del decennale Pd. «Es que somos reformistas, no de izquierdas» (El País 1/03/2008), ha detto Veltroni che aveva appena fondato il Pd.

Il tutto come prefigurazione della grande menzogna che caratterizzerà la campagna elettorale. La menzogna di un Pd che riscopre la sua «anima» mentre ha solo bisogno di qualcuno che si presti a fare la corrente esterna del partito per coprirlo «a sinistra».

La menzogna di battersi contro il centro-destra berlusconiano, mentre il confronto è solo su chi avrà la maggioranza in quella società per azioni che sarà la prossima coalizione di governo. In tale situazione può succedere che un quotidiano tra i massimi sostenitori dell’establishment allarghi il quadro: «Accade qualcosa di inconcepibile. Per la prima volta, tra i leghisti di peso, affiora l’interrogativo del che fare, qualora ci fosse bisogno di salvare l’Italia. «Se insieme siamo riusciti a scrivere una legge elettorale, che è impresa quasi disperata, perché scartare dopo il voto eventuali larghe intese sotto l’egida del Colle?» (La Stampa 14 ottobre). Improbabile forse, ma, nella logica della salvezza dei capi, certamente possibile.

La necessaria, indispensabile, lista di sinistra che con mille difficoltà si va costruendo, sarà plurale, formata da forze diverse.

La rottura con quel «condensato di passato» ne è, però, condizione necessaria.