«L’8 marzo sarà la “finestra” da cui ci affacceremo per gridare». A dirlo è Izabela Desperak, che ha vissuto tanti momenti di mobilitazione per i diritti femminili in Polonia. Professoressa e ricercatrice all’Università di Łodz, si è battuta sin dai primi anni ‘90 per l’introduzione di quote rosa nel sistema parlamentare, ha condotto indagini sulle discriminazioni di genere nel mercato del lavoro e sulla rappresentazione della donna nei mass-media, fino a unirsi alla recente ondata di proteste e iniziative a favore della libera scelta. Ora fervono i preparativi per lo Sciopero Internazionale delle Donne, ma la sua visione del presente non è così ottimista.

Alle elezioni locali il partito conservatore Prawo i Sprawiedliwosc (PiS) si è confermato la prima forza del Paese. Cosa significa per le donne?

Il PiS continua a vincere nelle zone rurali e qui le sue politiche contro le donne sono ben visibili. Soprattutto nel campo dei diritti riproduttivi e della salute. In aree tradizionalmente cattoliche come quelle del Podkarpackie e Małopolska, a sud-est del paese, l’obiezione di coscienza è totale e non ci sono ospedali che praticano l’interruzione di gravidanza, nemmeno nei tre casi previsti dalla legge.

Così le farmacie: le donne sono spesso costrette a spostarsi in altre regioni per farsi prescrivere la pillola del giorno dopo. Ma anche la possibilità di visite con un normale medico di famiglia sono limitate e a volte non si trovano ginecologi nel raggio di 80 chilometri. Per non parlare dello screening prenatale, servizio praticamente impossibile da ottenere. Un clima pesante, che non riguarda solo la parte rurale del Paese. Persino nella “moderna” Łodz, che abbiamo sempre considerato di sinistra, dopo che il PiS ha vinto le elezioni regionali ci ritroviamo ad affrontare la chiusura del programma pubblico di fecondazione in vitro.

Come si oppone il movimento femminista a tutto ciò?

Quest’anno riusciremo a portare la manifestazione dell’8 marzo in ogni capoluogo, anche nelle aree dove ha vinto il PiS. Le attiviste del collettivo Manifa (movimento femminista polacco sorto nel 2001, che si occupa di organizzare la Giornata della Donna, ndr) delle città principali stanno dando il massimo supporto a quelli dei centri più piccoli. Vogliamo delineare una serie di rivendicazioni comuni forti e precise, che riguardano le difficoltà di accesso al welfare, le violenze subite dalle migranti, la sistematica esclusione delle donne dall’assistenza sanitaria.
Purtroppo, il movimento femminista è marginale nella società polacca. I contesti in cui si sta sviluppando sono soprattutto quelli universitari, dove operano studenti e attivisti. Invece, se guardiamo fuori dalle grandi città e dal centro del Paese, è difficile trovare qualcuno che si professi “femminista”. Il termine stesso viene inteso con un’accezione negativa e le masse lo percepiscono come inaccettabile. La sua diffusione è limitata a una certa classe sociale e a certe località. Le nostre compagne nel voivodato di Podkarpackie, ad esempio, devono sempre edulcorare i loro messaggi e il loro stile comunicativo per raggiungere un pubblico più ampio.

Da cosa deriva questa marginalità?

Durante i periodi di forte cambiamento, la componente femminile della società passa spesso in secondo piano. In Polonia, la transizione alla democrazia si è accompagnata a una drastica riduzione dei diritti e delle garanzie per le donne: minore accesso al mercato del lavoro, invisibilità politica, scarsa rappresentazione e legittimità nei mass-media. Solidarność, il movimento operaio che si è seduto al tavolo delle trattative, aveva numerose donne con ruoli importanti al suo interno. Eppure, una volta raggiunto il potere, sono scomparse dalla scena. In un certo senso, poi, i diritti femminili sono stati usati come “moneta di scambio” per gli accordi con la Chiesa Cattolica. La legge del 1993, che abolisce l’aborto volontario, va letta in quest’ottica: una sorta di ricompensa alla Chiesa, per il suo ruolo nella caduta del comunismo, ma anche una manovra di carattere simbolico, per segnare discontinuità col passato.
In generale il femminismo polacco riunisce oggi una grande diversità di visioni, da approcci più “liberal” a posizioni anarco-femministe. Tale ricchezza, però, rende a volte difficile raggiungere un orientamento condiviso.

Quali vie d’uscita si intravedono?

Tutte le forze politiche in Polonia hanno un’impostazione patriarcale, dal PiS fino a Platforma Obywatelska (Piattaforma Civica, il partito di centro-destra fondato da Donald Tusk). Finora nessun governo è andato nella direzione di una maggiore uguaglianza fra uomini e donne. Tuttavia stiamo osservando l’evoluzione di Wiosna (Primavera), il partito appena fondato dal sindaco di Słupsk Robert Biedroń. La sua è una figura interessante: ex-attivista per i diritti Lgbt, uno dei pochi primi cittadini polacchi dichiaratamente gay. Wiosna ha nel proprio programma tutti i punti necessari per una buona politica di genere.

Ma le esperienze recenti ci dicono che è molto difficile sopravvivere. Partiti di sinistra come Razem hanno percentuali bassissime, realtà politiche attente ai diritti femminili come Nowoczesna, Inicjatywa Polska e Inicjatywa Feministyczna sono scomparse o si sono viste costrette a unirsi a grandi colazioni. In pratica, chiunque sia attento alla parità di genere non ha mai avuto alcuna possibilità di successo fino a questo momento.