Quanto cordiale sia stato il primo e attesissimo incontro tra Lula e papa Francesco, ieri pomeriggio a Santa Marta, lo esprimono bene le due foto postate dall’ex presidente sul suo profilo Twitter, con il leader politico brasiliano e il papa argentino che posano sorridenti stringendosi la mano e con Bergoglio che benedice affettuosamente un emozionato Lula.

Un incontro che si è prolungato per circa un’ora e che ha avuto come tema, ha scritto l’ex presidente, quello di «un mondo più giusto e fraterno». Trattandosi di una visita di carattere privato, nessun comunicato ufficiale è stato divulgato dalla Santa Sede, ma, già il giorno prima, Lula aveva annunciato che avrebbe ringraziato il papa non solo per la solidarietà dimostrata nei suoi confronti «in un momento difficile», ma «soprattutto per la sua dedizione alle persone oppresse», esprimendo l’intenzione di discutere con lui «dell’esperienza brasiliana nella lotta alla povertà».

CHE IL PAPA FOSSE PRONTO a riceverlo «con grande piacere» lo aveva già chiarito durante l’udienza concessa il 31 gennaio al presidente argentino Alberto Fernández, quando quest’ultimo, affrontando la questione del lawfare – l’uso del diritto come strumento di persecuzione politica e di sovvertimento dello stato di diritto – aveva sondato la possibilità che Lula potesse fargli visita.

Ma la solidarietà nei confronti dell’ex presidente papa Francesco l’aveva espressa a più riprese, in particolare quando, lo scorso maggio, in risposta a una sua lettera dal carcere di Curitiba, gli aveva fatto coraggio, affermando, in occasione della celebrazione pasquale, che «il bene vincerà il male, la verità vincerà la menzogna e la salvezza vincerà la condanna». E, a proposito del lawfare, che in Brasile ha prodotto, in sequenza, l’impeachment contro la presidente Dilma Rousseff, la condanna senza prove di Lula, il suo arresto e la sua ineleggibilità, papa Francesco aveva mostrato già nel maggio del 2018 di coglierne assai bene tutte le implicazioni: «I media – aveva affermato durante un’omelia – incominciano a sparlare della gente, dei dirigenti e, con la calunnia, la diffamazione, li sporcano. Poi entra la giustizia, li condanna e, alla fine, si fa il colpo di stato». E aveva ribadito il concetto anche nel giugno del 2019, durante il Vertice dei giudici panamericani, spiegando che «il lawfare, oltre a mettere in grave pericolo la democrazia dei paesi, viene utilizzato per minare i processi politici emergenti e favorire la violazione sistematica dei diritti sociali».

E DI CERTO È DIFFICILE che della critica situazione del Brasile Lula e papa Francesco non abbiano parlato durante il loro incontro, tanto più di fronte alle implicite critiche nei confronti del governo Bolsonaro contenute nell’esortazione post-sinodale Querida Amazonia, laddove il papa parla di «ingiustizia e crimine» a proposito del «via libera» da parte delle autorità «alle industrie del legname, a progetti minerari o petroliferi e ad altre attività che devastano le foreste e inquinano l’ambiente». E ciò a prescindere dal fatto che neppure i governi di Lula e di Dilma siano stati estranei a tali politiche.

PER LULA, IN OGNI CASO, l’incontro con il papa avviene in un momento politicamente delicato. Dopo l’euforia della sua scarcerazione, accompagnata da forti aspettative riguardo al suo rientro sulla scena politica, l’ex presidente non è finora riuscito a fare in alcun modo la differenza, né a intaccare il consenso di cui gode ancora Bolsonaro, addirittura in risalita, secondo l’ultimo sondaggio, dal 27% al 29%.

DAL MOMENTO IN CUI ha varcato la soglia del carcere di Curitiba, Lula è stato presente molto più sulle reti sociali che nelle piazze. Ed è apparso molto più concentrato sulla definizione dei possibili candidati del Pt per le elezioni municipali del prossimo autunno che su una strategia di ampio respiro di fronte all’autoritarismo dilagante nel paese. E poiché nel Pt nulla sembra ancora muoversi senza di lui, la conseguenza è una sconcertante inoperatività della sinistra come forza di opposizione. Cosicché non meraviglia più di tanto che, se le elezioni ci fossero oggi, il 29,1% rivoterebbe per Bolsonaro e solo il 17% per l’ex presidente.