Che cosa cambia, in Francia, per i luoghi della cultura, dopo l’ultimo discorso di Emmanuel Macron? In sostanza, nulla. Il presidente ha annunciato un ritorno alla normalità a partire da metà maggio. Ma sono in pochi a essere convinti dall’annuncio. Ancora meno ad attivarsi per rendere la riapertura possibile. La convinzione è che al massimo si ricominci dai musei, mentre per i teatri e per i cinema l’obiettivo sarebbe ancora lontano. Più in generale, la parola del presidente ha perso autorevolezza.
UNA PARTE della macchina organizzativa del cinema si era in effetti rimessa in moto sperando in aprile. E nelle discussioni tra i sindacati e il ministero della cultura, si era formulata l’ipotesi di una ripresa degli spettacoli a tappe, tre o quattro, ognuna con una percentuale di posti a sedere. La discussione si era arenata, in attesa di sapere cosa pensa il presidente, che ogni settimana cambia umore e idea. Quasi tutti ora guardano oltre maggio, e si concentrano sull’edizione estiva di Cannes che dovrebbe costituire il punto di rilancio per tutto il settore.
Due ragioni spiegano questo brutale calo di fiducia. La prima è la gestione calamitosa dell’epidemia. A cominciare dalla mancanza delle mascherine, passando per i letti negli ospedali e finendo con l’appuntamento mancato del vaccino, ad ogni passaggio chiave, il potere macroniano si è mostrato incapace di prevedere, lento nel reagire, impermeabile all’autocritica. Il risultato è ben riassunto da un articolo apparso nel pur ultra-governativo «Le Monde», dove Solenn de Royer traccia un bilancio senza appello dell’azione presidenziale (La théâtralisation de la parole présidencielle…). La seconda causa è più profonda, perché deriva dalla crisi di due modelli fondamentali della quinta repubblica, la sua ideologia e la sua costituzione, entrambe arrivati allo stremo. È per fedeltà fanatica al neoliberismo che il migliore sistema di salute pubblica del mondo (stima del 1995) è scivolato a forza di tagli e di managerismo al 25esimo posto (2020). Dal lato delle istituzioni, il potere di tipo monarchico che la costituzione attribuisce al presidente mostra oggi tutti i suoi limiti. Della monarchia, la presidenza riunisce l’illusione di onnipotenza: «Se non faccio tutto, e tutto da solo, non si fa nulla» ha dichiarato Macron ad un collaboratore basito da tale hybris. Come non pensare al film di propaganda con Stalin che scende dal suo ufficio per riparare un trattore, e all’acuta analisi che ne fa Slavoij Zizeck in Did Somebody say Totalitarianism?: cos’è un paese in cui il capo deve occuparsi di ogni problema, se non un paese dove non funziona nulla ?
DALL’INIZIO della crisi, Macron si è espresso davanti ai suoi concittadini in media ogni otto settimane. Dopo ogni discorso, i suoi ministri si affaccendano a dare un senso concreto alle sue parole, che scoprono per lo più in diretta, come tutti gli altri sudditi. I collaboratori, stretti e meno stretti, di Macron agiscono di fatto più come cortigiani che come uomini di governo. Il ministro dell’Istruzione Blaiquer ha per esempio dichiarato che «il presidente è diventato un vero esperto di epidemiologia. Non è un argomento troppo complesso, per un’intelligenza come la sua». Secondo «Le Figaro», l’adulazione non è stata apprezzata dal presidente, che l’ha trovata troppo servile.
UN TALE CLIMA non trova equivalenti se non nei romanzi di Alexandre Dumas, e non è certo fatto per rassicurare chi nelle scuole, nei teatri, nei posti di lavoro in genere cerca di affrontare la crisi. Il presidente può ovviamente annunciare quello che vuole, ma se non c’è un corpo sociale attivo, che non si limita a subire decisioni ma vi partecipa, nessuna ripresa avrà luogo. Tra lui e il paese, oramai c’è il vuoto.