A preoccupare non è tanto quella scritta trovata dalle milizie filogovernative sui muri della città del golfo appena strappata ai jihadisti del califfato: «Sirte è il porto marittimo dello Stato islamico, il punto di partenza verso Roma… con il permesso di Dio», dicono i caratteri neri. Quelle parole «vanno lette nell’ottica della propaganda fatta da Daesh negli ultimi anni e negli ultimi mesi», spiega il presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza, Giacomo Stucchi. No, a preoccupare semmai è un’altra possibilità, finora giustamente sempre scartata e che oggi, invece, potrebbe assumere una sua consistenza. Ovvero quella che pur di salvarsi i jihadisti in fuga possano nascondersi tra i migranti che cercano di raggiungere l’Europa.

Gente disperata e più che mai pronta a tutto. «Sono cani sciolti – prosegue Stucchi – gente allo sbando che scappa. In una situazione di pieno caos quelli che non sono diretti verso sud potrebbero anche decidere di tentare la carta del viaggio in mare». Terroristi mischiati alle centinaia di profughi su uno dei tanti barconi che ogni giorno tentano di attraversare il Mediterraneo. «Poi si tratta di capire quali intenzioni ha chi dovesse davvero arrivare in questo modo – prosegue l’esponente della Lega -: semplicemente far perdere le proprie tracce oppure continuare a ’combattere’ in nome della propria causa».

Non è certo la prima volta che l’ipotesi di pericolose infiltrazioni tra i migranti viene agitata, sempre però puntualmente smentita. Solo una settimana fa era stato lo stesso Franco Gabrielli a ribadirlo: «A oggi questo tanto sbandierato e tanto rappresentato parallelismo tra i flussi migratori e rischi di infiltrazioni terroristiche non c’è», aveva detto il capo della polizia parlando a Genova. Un’analisi che trova d’accordo anche il presidente del Copasir che, però, sottolinea come ora, con la presa di Sirte, «lo scenario è completamente cambiato».

Sarebbe come minimo imprudente escludere a priori i timori avanzati dal presidente del Copasir. Va detto però che, almeno stando alle notizie in arrivo dalla Libia, per i miliziani del califfato Sirte sarebbe ormai una trappola dalla quale è difficile uscire. «L’Isis a Sirte è accerchiata per mare e per terra, i guardiacoste sono dispiegati sul litorale. Tutte le vie di fuga sono chiuse», ha annunciato il generale Mohamed al Ghasri, portavoce della missione Al-Binyan Al-Marsous.

Se anche qualcuno dovesse riuscire a prendere il mare, una volta arrivato in acque internazionali troverebbe ad attenderlo ben tre squadre navali. Da più di un anno, infatti, nell’area operano la missione europea Sophia, le navi della Nato e quelle della missione italiana Mare sicuro. Uno spiegamento di forze che finora, almeno per quanto riguarda le missioni Sophia e Mare sicuro, si è occupato di mettere in salvo i barconi carichi di disperati che partono dalla città di Zuwara, a ovest di Tripoli, sempre però tenendo alta la guardia su un eventuale pericolo legato al terrorismo.

Tanto più che da giugno la risoluzione 2292 dell’Onu autorizza la missione europea guidata dall’ammiraglio Enrico Credendino a effettuare controlli sulle imbarcazioni sospette per far rispettare l’embargo di armi verso la Libia, nonché ad estendere il suo raggio d’azione a est fino a coprire tutta la costa del paese nordafricano. Migranti o no, qualsiasi mezzo avrebbe quindi poche possibilità di passare la rete di controlli.

Il problema comunque esiste, soprattutto dopo le indiscrezioni secondo le quali dai documenti appartenenti alle milizie jihadiste ritrovati a Sirte dai servizi libici, risulterebbe la presenza di uomini del califfato sia a Milano che nella provincia del capoluogo. Un allarme che non riguarda solo l’Italia. Entro la fine di agosto una squadra composta da cinquanta agenti di Europol arriverà in Grecia con il preciso compito di individuare possibili terroristi infiltrati tra le decine di migliaia di profughi fermi da mesi nel paese. Secondo l’intelligence tedesca ci sarebbero infatti «indizi tangibili» che almeno 17 affiliati allo stato islamico – due dei quali hanno partecipato agli attentati del 2015 a Parigi – si sono camuffati tra i rifugiati per entrare in Europa.