I due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone saranno processati in Italia, ma all’India spetta un risarcimento per la «perdita di vite» e i danni morali e materiali connessi al caso Enrica Lexie.

Lo ha disposto ieri la Corte permanente di arbitrato dell’Aja, organo internazionale per la risoluzione delle controversie tra Stati cui il governo italiano si era appellato nel 2015.

LA CORTE ERA CHIAMATA a decidere chi, tra Italia e India, avesse la giurisdizione esclusiva per processare i due militari italiani, accusati di aver ucciso i due pescatori indiani Ajesh Binki e Valentine Jelastine al largo delle coste del Kerala (India meridionale) nel febbraio del 2012.

Nella sentenza, pubblicata in forma ridotta ieri pomeriggio, si spiega che i due fucilieri hanno diritto all’«immunità» funzionale: viene cioè riconosciuto il carattere «ufficiale» delle azioni dei due marò, che all’epoca dei fatti erano nell’esercizio delle proprie funzioni di militari in servizio.

In virtù dell’immunità riconosciuta, la Corte ha indicato all’India di cessare ogni procedimento penale in corso; l’Italia dovrà riaprire le proprie indagini e istruire il processo a carico di Girone e Latorre.

SALVATORE GIRONE, raggiunto da Ansa, si è detto felice di poter ora «riottenere la mia libertà personale. L’India ha fatto quello che non doveva fare, limitando le nostre libertà e tenendoci anche in prigione. Ho subìto una grande ingiustizia da parte degli indiani».

Per le forze di governo, in Italia, si tratta di una vittoria a tutto campo. «La tesi dell’Italia, dopo anni di lunghe battaglie, ha prevalso – ha commentato il ministro degli esteri Luigi di Maio in un post su Facebook – Oggi si mette un punto definitivo a una lunga agonia».

«Mi sembra una buona notizia», ha detto il premier Giuseppe Conte. La sentenza è stata accolta con entusiasmo anche dalle opposizioni, con il leader della Lega Matteo Salvini rincuorato dalla chiusura della vicenda che coinvolge «due ragazzi che meritano di essere trattati coi guanti bianchi». Contenta Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, seppur con «grande rabbia e l’amaro in bocca» per «un sopruso di dieci anni» (otto, al massimo, ndr).

I GIUDICI DELL’AJA hanno però anche chiarito che le azioni legali intraprese dall’India e la conseguente limitazione della libertà dei due fucilieri italiani non hanno violato il diritto internazionale. Latorre e Girone sono stati trattenuti in territorio indiano dal 19 febbraio 2014, alloggiando in guest house governative, hotel a cinque stelle e strutture di pertinenza dell’ambasciata italiana a New Delhi rispettivamente fino al 13 settembre 2014 (permesso di rientro accordato a Latorre per motivi di salute) e al 29 maggio 2015.

Contrariamente a quanto chiedeva l’Italia, New Delhi non dovrà pagare alcun risarcimento per i «danni immateriali» sofferti da Girone e Latorre. Italia e India dovranno invece trovare un accordo economico per risarcire le famiglie di Binki e Jelastine e gli altri membri del peschereccio St. Anthony. Dettaglio accolto positivamente da India Today, che ieri titolava: «l’India vince il caso dei marines italiani, gli spetta un risarcimento ma non potrà processarli».

INOLTRE, SI LEGGE nella sentenza, attaccando il peschereccio indiano al largo del Kerala, «l’Italia ha violato la libertà di navigazione sancita dagli articoli 87 e 90 della Convenzione dell’Onu sul Diritto del Mare».

È un dato importante che, indirettamente, attribuisce al nucleo anti-pirateria – formato da sei fucilieri della Marina militare italiana – a bordo della petroliera privata Enrica Lexie la responsabilità della morte di Binki e Jelastine.

Per i giudici dell’Aja, cui lo stesso governo italiano ha chiesto di dirimere il contenzioso giurisdizionale, non c’è alcun dubbio: i proiettili che hanno colpito i due pescatori e il peschereccio indiani – probabilmente scambiato per un’imbarcazione pirata – sono partiti dalla Enrica Lexie.

E sono partiti da fucili in mano a militari italiani mandati dallo Stato a difendere gli interessi privati dell’armatore Fratelli D’Amato. Iniziativa promossa dal governo Berlusconi nel 2011, contravvenendo alle «best practices» internazionali per cui un simile servizio è meglio venga appaltato a «contractor» privati.

UNA RICOSTRUZIONE che ora si spera metta definitivamente a tacere le fantasiose tesi innocentiste e vittimiste che, dal 2012, continuano a inquinare il dibattito pubblico intorno alla condotta dei «nostri marò».