II tormenti di un’infermiera-robot cui spetta decidere quale paziente salvare tra quelli che ha in cura; una poliziotta scettica sulle potenzialità delle intelligenze artificiali che si convince a sottoporsi a un innesto AI per svolgere le proprie indagini; il mondo immerso nelle polveri sottili e la società è divisa in due, tra chi può permettersi un vaccino in grado di garantire una vita centenaria, e chi non può e a malapena sopravvive fino ai trent’anni. Sono solo alcuni dei temi affrontati dalla serie tv coreana SF8, definita la risposta asiatica a Black Mirror, disponibile fino a stasera on demand su MYmovies.it solo per gli spettatori del Trieste Science+Fiction Festival.

Otto episodi indipendenti e autoconclusi, ambientati in un futuro non distante e accomunati dai dilemmi etici coi quali sono costretti a fare i conti i personaggi immersi in una quotidianità dove l’intelligenza artificiale, la realtà aumentata e i robot sono all’ordine del giorno.
Ideata e prodotta dal regista e produttore Kyudong Min, anche autore del primo episodio (The Prayer), SF8 è stata creata dalla Mbc, l’Associazione dei registi coreani e la piattaforma OTT Wavve. Questa serie, di cui si sta già pensando a un sequel, rappresenta qualcosa di molto innovativo nel panorama dell’audiovisivo coreano.

Da dove nasce l’ispirazione per «SF8»? Letteratura, cinema, tv, l’osservazione del reale?
La fantascienza mi interessa da sempre e SF8 nasce da questo. In Asia i film sci-fi risentono molto dell’influenza hollywoodiana, ma non siamo ancora stati capaci di realizzare qualcosa di davvero originale. Perciò questa mi è sembrata una opportunità eccezionale. Avendo a disposizione un budget ridotto, la mia idea è sempre stata quella di realizzare un prodotto a episodi, di durata inferiore alle due ore canoniche del cinema. E quando ho avuto modo di partecipare agli incontri della Mbc ho trovato la fiducia di molti autori e produttori disposti a credere nel progetto. Tra le influenze, comunque, c’è anche la letteratura. Fin da piccolo collezionavo collane di romanzi di fantascienza che mi hanno ispirato nella scrittura degli otto episodi, creati assieme a sceneggiatori che già lavoravano per la tv. Quindi è una combinazione tra tv, cinema, letteratura ed esigenze di low budget.

Dicevamo che la fantascienza non è un genere molto esplorato nel cinema coreano, ma evidentemente qualcosa sta cambiando. È imminente l’uscita di almeno due titoli, «Space Sweepers» e «Seo Bok», cui va aggiunta la serie Netflix «Sea of Silence». Cosa è successo? È una coincidenza?
Sì, è vero, è una coincidenza sorprendente, ma non c’è stata intenzionalità. È un caso che escano tutti insieme perché si tratta di progetti nati in momenti diversi e con tempi di realizzazione diversi. Però è accaduto che l’enorme successo di alcuni film di genere come Okja o Snowpiercer, per esempio, hanno reso evidenti le potenzialità che hanno catturato l’interesse di investitori disposti a scommettere anche sulla fantascienza. Nonostante questo risveglio di interesse i prodotti sono ancora molto standardizzati. Le trame sono sempre le stesse, i personaggi prevalentemente uomini che agiscono nelle medesime situazioni. In SF8 abbiamo voluto provare a fare qualcosa di diverso, che potesse raccontare una nuova realtà. Un sottogenere con risvolti ancora mai esplorati. Interessava a tutti. Pubblico e produttori. Ci si è resi conto che ci si poteva aprire a nuovi personaggi e a nuove storie.

È curioso, infatti, che molte delle protagoniste siano donne.
Siamo stati molto liberi. Uno dei principi che volevo fosse chiaro durante lo sviluppo della serie era che ognuno dei registi aveva la facoltà di fare i cambiamenti che riteneva più opportuni senza che i produttori potessero ostacolare le loro decisioni. Ed è così che diversi personaggi che in origine erano maschili sono diventati femminili. Non è così scontato in Corea.

Otto storie, otto registi. Come avete lavorato?
Gli otto episodi, uno a testa, sono stati presentati ai registi, scelti in base alle caratteristiche dei loro lavori precedenti. Ma poi alcuni di loro si sono scambiati i progetti. In un primo momento avevo chiesto anche ad altri cineasti che hanno rifiutato perché impegnati in altri lavori e anche perché spaventati dalla natura low budget della serie. Ma hanno finito per pentirsi, perché molti di loro non sono riusciti a portare a termine i film a causa del Covid. Ho dato totale libertà ai registi sulle loro scelte: colori, atmosfere, ho affidato i progetti a donne e uomini, a registi autoriali e commerciali, per cercare di diversificare. L’unica regola che avevo imposto era che gli episodi fossero tutti ambientati nel 2036, ma alla fine neanche quella è stata rispettata.

Come sceglie le storie che vuole raccontare? La sua filmografia, pensando a «Memento Mori» ma anche alle successive commedie, presenta alcune costanti: la fascinazione per l’horror, ma soprattutto per le relazioni umane.
Mi focalizzo in particolare sull’essere umano e la vita. E sul fatto che siamo destinati alla morte, un mistero di cui nessuno conosce il segreto. L’ineluttabilità della morte incide anche sulle relazioni, si cerca di non perdere tempo, di assaporare la vita e di viverla sempre al meglio.

È prevista una seconda stagione di «SF8»? E la distopia che stiamo vivendo potrebbe entrare a farne parte?
Si ma io stavolta farò solo il produttore e cambieranno anche i registi, tutti diversi rispetto alla prima stagione. È vero che viviamo una realtà distopica, ma siamo ancora in tempo per immaginare un futuro.