In Italia il mondo editoriale, si sa, è spesso un mare in tempesta oppure un pantano, e quindi il rischio è quello di affogare o sporcarsi, il più delle volte. Consideriamo qui il mare in tempesta, cioè lo spazio attraversato da forze. Come fronteggiare i rischi? Molti potrebbero essere più sicuri su determinate navi, noi però consigliamo: si cerchi un buon comandante, magari un «capitano di lungo corso». Una nave ultimo modello, se guidata male, affonda comunque. Una piccola imbarcazione, se al comando c’è un genio, può superare di tutto.
Ora, si dirà, perché tutto questo? La ragione sta in un paio di informazioni, correlate. La prima riguarda il varo, a fine 2015, di una piccola imbarcazione, la casa editrice Giometti & Antonello (www.giometti-antonello.it), con sede a Macerata e due comandanti: Gino Giometti (filosofo, ex direttore di Quodlibet) e Danni Antonello (scrittore, proprietario della libreria antiquaria Scaramouche).
La seconda è la scelta di iniziare, per le pubblicazioni del loro primo ciclo annuale di navigazioni, con un libro che raccoglie le memorie, da noi inedite (salvo un frammento), di un uomo d’eccezione: l’editore tedesco Kurt Wolff (1887-1963). Una scelta di campo che è anche, assolutamente, di stile – nei dettagli: il titolo in questione è Kurt Wolff, Memorie di un editore. Kafka, Walser, Trakl, Kraus e gli altri, e «i testi contenuti nel volume sono la base di una serie di conferenze radiofoniche che l’autore tenne fra il 1961 e il 1963» (con l’aggiunta di altro materiale interessante, lettere tra l’editore e gli autori, riproduzioni di determinate foto, copertine e altro). Sono testi che raccontano una vita da editore attraverso cui sembra anche possibile leggere, tra le righe, tracce di una storia intellettuale della Germania del tempo.
Ecco: Wolff, in questo caso, è un esempio perfetto di capitano di lungo corso a cui affidarsi. Un modello. Tanto per quello che ha fatto – di qui il rimando alla scelta di campo – quanto per come l’ha fatto – di qui, invece, il rimando allo stile.
Partiamo dal cosa.
«O pubblichiamo libri che reputiamo il pubblico debba leggere, oppure libri che reputiamo il pubblico voglia leggere. Gli editori di questa seconda categoria, quelli cioè che rincorrono servilmente il gusto del pubblico, per noi non contano – non è vero? Appartengono a un altro ordo, per servirci di questo bel concetto cattolico. Per una simile attività editoriale non c’è tra l’altro bisogno né dell’entusiasmo né del gusto. Noi editori dell’altra specie, sia detto col massimo della modestia, svolgiamo un’attività creativa, cerchiamo di entusiasmare i lettori a ciò che ci appare originale, valido dal punto di vista letterario, gravido di futuro, non importa se di facile o difficile accesso. Ciò vale per la narrativa che per il resto della letteratura. Ovviamente possiamo sbagliarci, e ci sbagliamo molto spesso. Talora crediamo di riscontrare promesse per il futuro nella personalità o nel manoscritto di un autore, e le promesse non si realizzano. Vale la pena, il successo non è determinante – spesso è casuale. Anzi, l’acquisizione di un buon autore è persino più di frequente un caso che un merito. Ma non restiamo nella teoria».
L’estratto, preso dal primo testo del libro, potrebbe forse ribadire qualcosa di noto ma raramente dato con una descrizione così puntuale. Di base a Lipsia da quando comincia l’attività editoriale, prima per Ernst Rowohlt (1908), poi in autonomia con la Kurt Wolff Verlag (1913-1930), Wolff pubblica fin da subito autori che saranno fra i più importanti. Loro stessi lo cercano, gente come Robert Walser, oppure Franz Kafka e Karl Kraus – su questi ultimi due, la seconda parte del libro presenta due testi dello stesso editore (le pagine su Kafka sono state già pubblicate in un piccolo volumetto da Adelphi, e Calasso non ha mai nascosto di ammirare il lavoro di Wolff). Ma i grandi nomi sono davvero tanti se, per dire, anche un Joyce prima de L’Ulisse lo cerca, e solo per un caso, alla fine, non viene pubblicato.
C’è però di più. Come si può leggere in appendice, in Vita di Kurt Wolff – l’autrice è la seconda moglie dell’editore, Helen Wolff – in una situazione economicamente complicatissima come quella della Germania tra le due guerre l’editore tedesco, non uno ricchissimo, fu capace di inventarsi altre case editrici solo per pubblicare un autore (per esempio, Kraus), ma anche di immaginarsi nuove tipologie di libri (per esempio, d’arte con illustrazioni separate e in formato gigante).
Da qui, una considerazione sullo stile, il come.
Dal libro, dalla prima parte – sull’incontro/separazione tra editore e autore; sull’editoria come avventura – e dalla seconda parte, quella dei ritratti di scrittori (oltre ai già citati c’è Carl Sternheim), vengono fuori determinate qualità di Wolff, fra le quali la più «fantascientifica» di tutte, la libertà incondizionata ai propri autori, nel poter ragionare con lui sulla singola opera e nel poterlo lasciare senza vincoli di sorta.
Morale: in pochi lo lasciarono, e tramite la sua empatia tutti gli riconobbero uno status da pari.
Per tutto questo, e molto altro, ci si augura allora che questo libro abbia il destino che meriti, cioè quello di rimanere in circolazione a lungo.