«Volete che la regione del Kurdistan e le zone curde fuori dalla regione diventino uno stato indipendente?». È  la domanda che 5,6 milioni di curdi d’Iraq troveranno domani sulla scheda del referendum che dovrebbe sancire l’indipendenza da Baghdad dell’attuale regione autonoma composta dalle province di Erbil, Sulaymaniyah e Duhok. In  sostanza però l’esito (scontato) della consultazione servirebbe a guadagnare forza contrattuale con il governo centrale. Il quale dissente  ed è preoccupato dal riferimento alle zone «fuori dalla regione», che allude principalmente a Kirkuk.

La pressione internazionale (Usa in testa) non sembra aver distolto il governo  di Erbil dal suo proposito e il presidente Massud Barzani ieri ha smentito l’ipotesi di un rinvio.

E la Turchia reagisce: come questo referendum rappresenti «una minaccia alla sicurezza nazionale» lo ha ribadito ieri il ministro della Difesa Nurettin Canikli, ma a margine dell’ok dato dal parlamento di Ankara alla  proroga di un anno delle operazioni dell’esercito turco in Siria e in Iraq e all’invio di truppe pesantemente armate sulla linea di confine che separa la Turchia da entrambi i paesi. I carri armati alla frontiera con il Kurdistan iracheno sono letti come un messaggio diretto a Barzani, un tempo sostenuto e oggi aspramente redarguito da Erdogan.