Per oltre quarant’anni l’Albania è stata un Paese isolato dal mondo. Un Paese che ha vissuto una quotidiana negazione dei principali diritti umani durante il regime di Enver Hoxha, ma che anche dopo la caduta della dittatura ha affrontato periodi altrettanto duri, con una profondissima crisi economica, esodi di massa, anni di anarchia e guerra civile. Oggi l’Albania è un Paese molto diverso. È un Paese che guarda al mondo da cui è stata esclusa per anni, e non solo in relazione alla sua recente candidatura all’Unione Europea. Prima che a livello istituzionale, lo fa a livello culturale e sociale, dimostrando di essere già inserita in un contesto internazionale di progetti e idee sui diritti umani.

È questo lo spirito dell’International Human Rights Film Festival Albania (IHRFFA), appuntamento annuale che dal 2006 la Marubi Academy of Film and Multimedia di Tirana organizza in collaborazione con diverse istituzioni e Ong attive nella difesa dei diritti dell’uomo. Il Festival ogni anno seleziona i più significativi contributi cinematografici sul tema, individuando per ogni edizione anche un filo rosso che collega le diverse riflessioni all’interno di un’unica piattaforma culturale.

Obiettivo dell’IHRFFA – la cui nona edizione si svolgerà dal 22 al 28 settembre prossimi – non è quindi quello di favorire una riflessione sullo stato della società albanese, ma s di sensibilizzare l’opinione pubblica utilizzando come strumento le immagini.
«Il Festival non è legato esclusivamente a Tirana o all’Albania» racconta il direttore Kujtim Çashku, tra i più importanti registi albanesi, fondatore della Marubi Academy of Film and Multimedia. «Anche se già il luogo dove si svolge, i Kinostudio, gli studi cinematografici del regime, ha un forte valore simbolico per il nostro Paese. Il luogo-simbolo della propaganda accoglie ora la Marubi Academy e circa quattrocento film che parlano di libertà e diritti negati, di questi ne stiamo selezionando 40 per le proiezioni pubbliche». «Il nostro non vuole essere però un laboratorio albanese, che dimostri come l’Albania stia correndo per superare i suoi problemi – dice ancora Çashku – Vogliamo mettere in luce la negazione dei diritti umani in tutto il mondo. L’IHRFFA ha raggiunto una buon livello, e oggi è inserito a pieno titolo nella world map dei film festival sui diritti».

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Un tema questo che da anni caratterizza la professione e la produzione artistica di Çashku. Le ragioni vanno ricercate negli anni precedenti al 1977, data che segna l’inizio di una carriera punetggiata da e numerosi premi internazionali, e che lo ha reso oggi una delle personalità più influenti sul piano culturale in Albania.

«Ho cominciato a lavorare con il regime, erano gli anni difficili del cinema di propaganda, ma la mia attenzione al tema dei diritti umani, e al loro legame con la cultura, è cominciata molto prima. Ho raggiunto la consapevolezza di cosa significasse la dittatura e la negazione della libertà grazie a mia madre. Molte persone vicine a lei sono state arrestate o uccise dal regime. Mi madre mi ja anche insegnato l’italiano, così ho potuto leggere i libri di quei filosofi e di quegli autori diffusi in Albania negli anni Trenta, ma poi censurati perché ritenuti ‘borghesi’».
«La mia partecipazione al cambiamento è figlia del modo silenzioso in cui mia madre mi ha insegnato ad aprire gli occhi e della formazione letteraria che mi ha fatto scoprire il fortissimo legame tra la cultura e la libertà dell’uomo. Vedo questo come un modo di fare politica, nel senso aristotelico del termine. Un modo di agire sulla società al di fuori dei partiti, ma connesso a principi più grandi, universali. È anche per questo che sono uno dei pochi fra coloro che si sono battuti per il rinnovamento del Paese dopo il totalitarismo a non aver avuto incarichi politici. Ho preferito rimanere un regista, e lavorare sulla cultura e insieme alle nuove generazioni. Non sono legato a poteri o personalità: amo la città e la cittadinanza, la gente che dà veramente respiro alla società. Voglio finire la mia vita come un uomo che ha amato il cinema e il diritto dell’uomo”.

Con questa consapevolezza, Kujtim Çashku è divenuto uno dei fondatori del primo Forum per il diritto dell’uomo in Albania. «Nel 1990, ho contribuito a questo progetto per fare luce sulle atrocità del regime, raccogliendo le storie dei prigionieri politici sopravvissuti e facendo visita alle carceri della dittatura per stilare un censimento delle vittime» racconta mentre sfoglia un dossier con le fotografie dei torturati e degli aguzzini dell’epoca. «È stato un modo per rendere concreta la nuova visione della libertà dell’uomo che per anni era stata oscurata, e per intraprendere un nuovo cammino sulla strada dei diritti umani».

La stessa strada che l’International Human Rights Film Festival Albania vuole seguire cercando di scardinare quella nuova forma di «dittatura» che – come spiega Çashku – è passata dal potere del terrore a quello dell’indifferenza e della mancanza di responsabilità. «Durante il regime per una parola di dissenso potevi essere messo in prigione. Ciò a cui invece assistiamo oggi è una totale perdita del valore della parola. Ognuno può dire quello che vuole, ma nulla conta. Assistiamo anche a un abuso della libertà, che è tale solo se legata alla responsabilità di quello che si dice. E questo non crea vera libertà, ma solo una sua caricatura, che certamente non genera più esecuzioni, ma una profonda indifferenza. È anche su questo che vuole lavorare l’IHRFFA: provando a creare una diversa consapevolezza della realtà, e a offire una visione che vada al di là del potere dei soldi, della volontà di fare carriera, delle logiche di partito. Muovere le acque perché credere nel diritto non significa stare fermi, ma continuare a camminare e a sperare».

Ogni anno, dunque, il Festival cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti umani nel loro insieme, a cominciare da un tema specifico. Spiega il regista: «L’Europa chiede all’Albania di lavorare sulla corruzione come condizione per entrare nella Comunità Europea. Io credo però che una riflessione seria sulla corruzione, così come su altri crimini, non possa limitarsi a uno Stato, a dei confini. L’Europa tutta, come il resto del mondo, deve concentrarsi sul fenomeno della corruzione come sistema, non come un problema legato a un singolo Paese. Credo che la corruzione sia un fenomeno sociale trasversale, legato a un patriarcalismo nascosto che porta intere società a identificare il ‘capo’ con la ‘legge’.

Un verticalismo orwelliano che spinge a essere remissivi con chi ha più potere e aggressivi con chi ne ha meno. Il nostro Festival vuole proprio affrontare il dibattito sulla negazione dei Diritti Umani in modo universale. Anche per questo per me è importante scegliere film europei che raccontino di diritti negati, proprio perché l’Europa è alla ricerca dei diritti negati fuori dai suoi confini. L’interesse verso l’Albania sta crescendo, ma io non condivido un approccio locale che dipinge il nostro Paese come una terra esotica da scoprire o da sviluppare. Voglio che chi partecipa al Festival non esca dalle sale rafforzando i propri stereotipi, i propri esotismi che producono un solo modo di pensare e non danno la possibilità di comprendere quella fusione culturale che va al di là delle frontiere geografiche e soprattutto mentali».
«A partire da queste esogenze – prosegue Çashku – abbiamo pensato il ’dedication day’ di questa edizione . Dopo la violenza sulle donne, la disabilità, l’ambiente, il tema del 2014 è Digital Revolution, global world divided world. In un sistema di nuove forme di comunicazione, formazione e informazione, i contributi video indagheranno le violazioni del diritto legate al nuovo universo digitale. Perché se è vero che il web e il mondo dei social network hanno enormi potenzialità, è anche vero che esiste una dark side dovuta, ad esempio, all’assenza di controllo permessa dall’anonimato, a un falso senso di connessione che indebolisce le vere relazioni».

I film comunque non tratteranno solo di questo, anzi come sottolinea Çashku, la varietà dei temi è uno dei punti fondanti della rassegna. «In Albania c’è un’energia caotica, senza direzione: è evidente nel rapporto con la natura, che porta alla distruzione del litorale per far spazio a una cementificazione selvaggia in nome del profitto. Mancano mancano i parchi, le foreste e l’assenza della visione del futuro porta a una devastazione pericolosa. Anche per questo ci saranno film che denunciano i crimini ambientali per fini economici: l’Albania ha la fortuna di poter conoscere gli errori fatti dagli altri prima di noi. Può così evitarli, anche attraverso la cultura».
E se ogni anno il Festival mette in scena i diritti umani, l’Accademia stessa è chiamata da anni a difendere i propri diritti.

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Dal febbraio 2009, infatti, sono stati numerosi i tentativi di sottrarre il giardino dell’Accademia per ampliare l’area a disposizione delle sedi delle televisioni che la circondano. «Per i politici il cinema non ha una grande importanza. La caduta del regime ha portato a dei cambiamenti troppo veloci che non hanno lasciato il tempo di riflettere, di scegliere se ‘conoscere o non conoscere’. Si è preferito declinate il verbo ’ avere’ invece del verbo ’sapere’. L’Accademia infatti è l’unica realtà che preserva la memoria cinematografica dei Kinostudio: è come una candela nell’oscurità del potere mediatico che ha occupato tutta l’area. C’è un grande interesse nel farci chiudere o, almeno, nel sottrarci lentamente gli spazi. La nostra istituzione è stata violentemente circondata dal filo spinato e dalla polizia privata che ha trasformato il nostro ambiente culturale e accademico in quello che poteva apparire come un campo di concentramento. Nonostante questa condizione di violenza e di isolamento, neanche per un momento abbiamo interrotto le attività, grazie alla resistenza degli studenti e di numerose personalità che hanno preso le nostre difese».

Aggiunge Çashku: «Il filo spinato oggi non c’è più e il giardino è a nostra disposizione per proiezioni open air e performance, ma la minaccia continua a mettere a rischio il futuro del Festival. È per questo che abbiamo avviato una pratica legale per proteggere il diritto di celebrare i diritti umani e preservare la dignità dell’ Accademia».
L’International Human Rights Film Festival Albania e la Marubi Academy of Film and Multimedia di Tirana continuano per ora la loro attività. Nati come esperimenti per donare nuove forme di cultura all’Albania, sono oggi punti di riferimento a livello internazionale per le produzioni la cinematografiche incentrata sul diritto dell’uomo. I semi del rinnovamento sono cresciuti. «Veniamo in questo mondo per lasciare delle cose e non per prenderle. Ecco perché mi sento ricco: sento di aver creato qualcosa che vale per gli altri. È come piantare un albero: dopo anni le persone in cerca di ombra si ripareranno sotto le sue fronde, senza sapere chi lo ha piantato. Quello che conta, che ci rende ricchi, a volte è semplicemente aver gettato un seme».