Uscito nel 1930, nella agitata Berlino in cui i nazisti stavano prendendo il potere, Gli impiegati di Siegfried Kracauer, uno dei classici del racconto della realtà, torna ora opportunamente da Meltemi a distanza di quarant’anni dalla edizione Einaudi, nella stessa traduzione di Anna Solmi, con il saggio di Luciano Gallino che introduceva quella lontana edizione, e con un intervento di Maurizio Guerri (pp. 146, € 14,00).
L’autore, architetto per formazione e sempre specialmente attento all’ambiente sociale, ruotava intorno a Georg Simmel (numerosi furono i suoi legami con Walter Benjamin) e fu il mentore di Adorno. Al momento dell’uscita del volume era responsabile delle pagine culturali della Frankfurter Zeitung. Noto soprattutto per il suo capitale studio Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco (ma notevole resta anche Il romanzo poliziesco, una analisi lucidissima del genere al momento della sua nascita) quando Kracauer intraprese la complessa ricerca che portò alla stesura del libro, la Germania aveva milioni di impiegati: erano il nuovo ceto medio, impoverito, che doveva fare i conti con ideali e desideri di arricchimento, gestendo una situazione economica spesso infelice.

Tutta la lettura di Kracauer è sotto il segno della perdita, della mancanza: i salariati, che svolgono spesso compiti per cui non hanno alcun interesse, sono intenti a celebrare nostalgicamente quell’epoca edenica della borghesia in cui esisteva un benessere economico, ormai perduto. L’insistenza per il divertimento nella Germania weimariana lo aveva portato a analizzare mirabilmente il fenomeno Vicki Baum (che al momento del suo trionfo aveva aperto la prima palestra di boxe per signore) nel suo popolarissimo Grand Hotel, in cui trionfa insieme alla grande danzatrice russa al tramonto Grusinskaya, la giovane e piccante figura di Flämmchen, dattilografa senza illusioni, assai attratta dalla moda, incarnata al cinema da Joan Crawford.

Kracauer aveva scritto, appunto, un saggio dal titolo Le piccole commesse vanno al cinema sulla necessità dell’intrattenimento come valvola di sfogo sociale, che alimentava anche imitazioni nell’estetica e nel comportamento. In Impiegati esamina le pubblicazioni del sindacato impiegati e valuta con precisione clinica le offerte pubblicitarie che puntano soprattutto sull’aspetto. Mentre nella società schiacciatutto, le possibilità economiche sono ridotte al minimo, trionfano gli annunci di miracolosi ritrovati per ringiovanire, di pomate per le emorroidi, trattamenti per la caduta dei capelli e per l’assai diffuso crampo dello scrivano. Negli anni precedenti in Germania le aziende avevano cominciato a sostenere i circoli sportivi, rendendo il benessere fisico un obiettivo della nazione. La classe media spendeva meno in cibo rispetto al proletariato, investiva piuttosto in cosmetica e in eleganza, e metteva la spesa per la cultura in vetta al proprio assai limitato budget.

L’analisi di Kracauer è spietata: gli impiegati adorano le celebrazioni di massa, i fuochi di artificio, i riti di gruppo, in cui la loro infelicità può sciogliersi infine in un’adesione a un’estasi collettiva da luna park. Il 10 maggio 1933, all’Operplatz di Berlino, Impiegati venne gettato nel maggiore rogo di libri voluto dal potere hitleriano. Mentre Göbbels annunciava la fine dell’intellettualismo ebraico e i numerosi studenti inneggiavano lugubri alla «pulizia della letteratura tedesca», alcuni impiegati avevano adottato la nuova uniforme.