È un ambito multiforme, quello occupato in Mali dal teatro Kotéba. Tecnica tradizionale d’improvvisazione, nata nei villaggi per esprimere e, al contempo, contenere il conflitto sociale, il Kotéba ha invaso gli spazi urbani della modernità, divenendo un genere capace di attrarre il pubblico delle sale cittadine, di affermarsi sulla rete televisiva nazionale Ortm, come di svolgere una missione terapeutica (psicodramma) in alcuni reparti psichiatrici degli ospedali della capitale Bamako.

LA PAROLA «KOTÉBA» DESIGNA, letteralmente, una «grande lumaca» in bambara (o bamanan), la lingua franca, utilizzata – ben più del francese, l’idioma ufficiale – nel commercio e negli scambi quotidiani fra i diversi gruppi etnici. Il teatro Kotéba riprende dunque un termine che tutti possono comprendere, il quale, a un livello di maggiore raffinatezza etimologica, rimanda addirittura alla cosmogonia delle genti di stirpe ban-mana (coloro che rifiutano di essere sottomessi).

La Grande Lumaca è, in questa millenaria cultura, il simbolo della saggezza, non indica un avanzare lento, bensì la solidità dell’organizzazione sociale. Il guscio della chiocciola riflette un movimento che, dalla base (i giovani), si sviluppa verso il centro (gli anziani), e tale peculiare andatura a spirale – chiarisce l’antropologo e psicologo clinico Olivier Douville (Insistence, 2006/2) – traccia metaforicamente il profilo di una realtà in cui vengono superate le separazioni fra un dentro e un fuori (nessuno risulta escluso), grazie al convergere di tutti i punti, fra loro collegati, sul nucleo interno.

Nel gioco scenico, il procedere per piccoli passi in direzione di un obiettivo comune si manifesta in maniera burlesca (ad esempio, ironizzando sulle pecche delle autorità o sui vizi umani), ricorrendo a una trama, sorta di canovaccio di riferimento, che permette agli attori (professionisti o meno) di denunciare malefatte e ingiustizie, celebrando il potere della parola e delle leggi.

Alioune Ifra Ndiaye
«Quanto viene narrato attraverso il Kotéba non potrebbe essere detto altrove. Si tratta di un meccanismo rispettato da qualsiasi potere, politico, religioso, amministrativo che sia»

LA DIMENSIONE EDUCATIVA del Kotéba è evidente, si tratta di un teatro engagé, dove la satira, le danze in cerchio e la musica fanno passare un messaggio. Lo spiega con semplicità ed entusiasmo Alioune Ifra Ndiaye, ideatore della compagnia Blonba, che ha saputo rinnovare, negli ultimi venticinque anni, il Kotéba, senza perderne l’anima autentica, ma adeguandolo a spettacoli che partono da un testo scritto, sono recitati da artisti di mestiere e vengono messi in scena nei teatri o alla televisione.

Ricorrendo a una curiosa formula, Alioune Ifra Ndiaye sostiene che il Kotéba contemporaneo «deve mantenere vivo il programma informatico che regge alle fondamenta la società maliana, attaccando ogni tipo di deriva di ordine politico o sociale, intervenendo come mediatore collettivo, grazie al peso del suo statuto tradizionale» (Danse des mots, rfi, 24-2-17).

NEL 1969, a pochi anni dall’indipendenza del paese, nasce ufficialmente il Kotéba National du Mali, quale forma di teatro sperimentale che si richiama alle radici della cultura bambara; poi, nel decennio 1980, sotto la direzione di Ousmane Sow, si tenta di superare la veste prettamente comica delle performances, per passare a una prospettiva di forte impegno politico: siamo nel periodo della terribile dittatura di Moussa Traoré, eppure, a dispetto della censura che pesa ovunque, il Kotéba rimane uno spazio di libera espressione. Sottolinea ancora Alioune Ifra Ndiaye: «Quanto viene narrato attraverso il Kotéba non potrebbe essere detto altrove. Si tratta di un meccanismo rispettato da qualsiasi potere, politico, religioso, amministrativo che sia. L’attore sulla scena parla come meglio crede, sfruttando la sua vena ironica», consapevole di una profonda verità: «Il ridere, in Mali, è sacro» ed è dunque intoccabile chi lo provoca nell’uditorio.

LA FUNZIONE PEDAGOGICA del Kotéba ha trovato, nell’era dell’estremismo islamico attuale, un ennesimo spunto di riflessione, per questo molti cheikh non disdegnano il loro appoggio benevolo a spettacoli che affrontano tematiche connesse alla fede o, meglio, ai rischi di una lettura cieca e violenta del discorso confessionale (il Mali è un paese al 90% musulmano).

Non sono però solo questioni di vasta portata, a essere messe in scena; rimane viva la dimensione popolare, locale del Kotéba, proprio come succedeva (e succede ancora) nelle zone di campagna: una performance recente della troupe Blonba racconta le vicissitudini di un individuo maleducato che riversa gli scarichi della sua fossa settica in strada, inquinando il suolo e attirando insetti nocivi, portatori di malattie.

POICHÉ TALE COMPORTAMENTO corrisponde, purtroppo, a quello adottato da molti cittadini irrispettosi del benessere altrui, via facebook o altri socials, gli attori di Blonba sono sollecitati – da quanti patiscono le conseguenze dell’inciviltà dei vicini – a portare il loro spettacolo nel quartiere, davanti alla casa di chi si comporta male e, senza essere citato direttamente, questi diviene oggetto di pubblico scherno: la vergogna lo indurrà a modificare il suo atteggiamento…

DI CARATURA DIVERSA, appare invece il Kotéba del noto artista e commediografo Adama Bagayogo. In ogni suo sketch propone personaggi che corrispondono a «prototipi psicologici», come li chiama lui stesso (Danse des mots, rfi, 14-6-13). Si tratta di figure del mondo reale, e del lavoro in particolare, che ritornano costantemente (qualche esempio: l’ispettore delle tasse, l’uomo pretenzioso, il giovane educatore…). Sono gli artefici di situazioni sempre sgradevoli e ingarbugliate, che – talora – sfociano nello psicodramma. Le vicende hanno luogo tanto in città, quanto nei villaggi, dove Adama Bagayogo ama trasferire occasionalmente la sua compagnia.

In quest’ottica, la Troupe Psy s’impegna anche a gestire, ogni anno, un mini-festival del Kotéba tradizionale, che ha luogo nel paesino di provenienza di uno degli attori, con l’intento di preservare e rinvigorire le matrici culturali di tale genere di spettacolo.

MA ADAMA BAGAYOGO è soprattutto conosciuto, in Mali, per gli interventi che realizza accanto ai malati psichiatrici dell’ospedale Point G di Bamako. Il venerdì mattina, sollecitati da danze e da una scenetta improvvisata, nella quale intervengono «personalità» dell’ambiente medico o funzionari, s’incoraggiano i pazienti ad unirsi a una performance collettiva, una sorta di valvola di sfogo del loro disagio e strumento per superare l’isolamento sociale che sovente subiscono. Spiega Adama Bagayogo: «La situazione inventata dai commedianti risuona come un’eco nell’esperienza personale del malato, che è allora spinto a mettere in scena se stesso e la sua sofferenza, ma non è più solo, gode ora del supporto prezioso del gruppo; questo sostegno gli può permettere di mutare, magari in modo inconsapevole, la sua prospettiva», aiutandolo così a emergere dall’universo patologico in cui si dibatte.