Sassaiole, lacrimogeni, auto incendiate. 10 civili e 13 poliziotti feriti: nuove violenze a Kosovska Mitrovica, la città divisa del Kosovo, domenica sulla sponda albanese dell’Ibar, il fiume che taglia in due il centro abitato. I quartieri nord sono serbi, quelli sud albanesi. L’Ibar demarca anche il limite tra il territorio amministrato da Pristina e quello controllato dai serbi del Kosovo con le «istituzioni parallele» legate a Belgrado.

I tumulti nel corso di una manifestazione nazionalista di protesta contro un giardino, ornato da piante e sculture, allestito in mezzo al «ponte nuovo», principale punto d’attraversamento tra i versanti della città. Gli albanesi l’hanno interpretata come un nuovo, provocatorio tentativo dei serbi di bloccare il passaggio, dopo che il 18 giugno erano stati rimossi i blocchi posti sull’infrastruttura nel 2011, dopo la pasticciata operazione, seguita da duri scontri, con cui la polizia di Pristina aveva cercato di spingersi oltre l’Ibar e prendere il controllo delle dogane. Perché la rimozione delle barricate? L’azione rientra nel processo di normalizzazione tra Belgrado e la sua ex provincia, autoproclamatasi indipendente nel 2008, nove anni dopo i bombardamenti Nato sulla Jugoslavia di Milosevic.

Nel 2013 i due governi, con la mediazione Ue, hanno firmato un accordo che prevede il parziale smantellamento delle istituzioni parallele. In cambio si offre ai serbi un alto grado di autogoverno. Un’intesa rimasta un pezzo di carta. Una parte della società civile e politica serbo-kosovara non intende adeguarsi a Belgrado, che s’è ammorbidita sul Kosovo per avviare i negoziati sull’ingresso nell’Ue. I serbo-kosovari si oppongono alla nascita di un esercito kosovaro-albanese annunciato da Pristina. Il premier serbo Aleksandar Vucic cerca di convincerli che l’accordo con Pristina non li danneggia, ma anzi, offre solide garanzie di autonomia.

Ma i fatti di Mitrovica evidenziano dinamiche velenose anche sul versante albanese. In molti rifiutano convivenza e accordi con i serbi, pretendendo una sovranità non negoziabile a nord dell’Ibar. Principale interprete di questa corrente è Vetevendosje, partito radicale nato dal movimentismo universitario. Alle elezioni dell’8 giugno ha ottenuto il 14%. Senza il suo appoggio è difficile formare una coalizione. Ma ora che governo uscirà a Pristina? Il primo ministro uscente Thaqi ha ottenuto la maggioranza relativa, pertanto dovrebbe assumere l’iniziativa. Ma i partiti all’opposizione nella scorsa legislatura hanno firmato un accordo di coalizione che lo esclude. Sospinti a quanto si dice da chi, in ambienti europei e atlantici, s’è stufato di Thaqi e della sua cricca, accusata di cronica corruzione.

Intanto si lavora per lanciare una corte speciale, kosovara ma con giudici internazionali, che dovrebbe esaminare i crimini commessi dall’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), compresi quelli imputati a Thaqi sul traffico di organi espiantati da prigionieri serbi. Un altro fattore d’instabilità.