Per il Kosovo andare ad elezioni anticipate non è certo una novità. Dalla dichiarazione unilaterale d’indipendenza nel 2008 ad oggi nessuna legislatura è terminata allo scadere naturale del mandato. A portare il Paese nuovamente al voto sono state questa volta le dimissioni del premier uscente Ramush Haradinaj, ex guerrigliere dell’Uck, in seguito alla sua convocazione all’Aja da parte del Tribunale speciale per i crimini commessi dall’Uck durante e dopo la guerra in Kosovo del 1999.

Quello delle elezioni anticipate potrebbe essere il solo segnale di continuità nella travagliata storia del Kosovo indipendente. Il voto di domenica prossima per il rinnovo del Parlamento, infatti, presenta degli elementi di novità dagli esiti imprevedibili. Il primo è il rovesciamento dei rapporti di potere tra i partiti che hanno dominato la scena politica kossovara negli ultimi anni.

A contendersi la guida del prossimo esecutivo sono le due principali forze di opposizione, la Lega democratica del Kosovo (Ldk), partito fondato dal primo presidente del Kosovo indipendente, Ibrahim Rugova, e Vetevendosje! (Vv), partito di sinistra dalle forti connotazioni nazionaliste. I sondaggi vendono in testa al 24% l’Ldk guidato dalla prima candidata a premier donna nella storia del Kosovo, Vjosa Osmani, mentre Vv di Albin Kurti, che alle scorse elezioni è stato il partito più votato con il 27% dei consensi, è dato al 17%. Si tratta di due partiti molto diversi tra loro che hanno però l’occasione storica di mettere all’angolo i “signori della guerra” che finora hanno governato il Kosovo. Osmani e Kurti sono gli unici due candidati premier a non essere anche ex guerriglieri dell’Uck.

E qui c’è il secondo passaggio importante. La coalizione del governo uscente, la cosiddetta coalizione della guerra, si presenta al voto divisa e tutti i partiti che ne hanno fatto parte sembrano arrancare. Il Partito democratico del Kosovo (Pdk) di Hashim Thaqi, che pure i sondaggi danno al al secondo posto con il 18% dei consensi, rischia per la prima volta nella storia del Kosovo indipendente di non entrare nella maggioranza di governo se le forze d’opposizione riescono a trovare un accordo di governo.

Stessa sorte anche per il premier uscente Haradinaj, leader dell’Alleanza per il Futuro del Kosovo (Aak) che pur di assicurarsi un posto in Parlamento si è alleato a sorpresa con il Partito socialdemocratico (Psd), nato da una costola di Vv e guidato dal sindaco di Pristina Shpend Ahmeti.

Tra i volti vecchi che rischiano di essere spazzati via da questa tornata elettorale ci sono Fatmir Limaj, leader di NISMA – Iniziativa socialdemocratica, e il ministro degli Esteri uscente, il miliardario Behgjet Pacolli a capo dell’Alleanza per un nuovo Kosovo (Akr). I due soci di minoranza del governo dimissionario si presentano in coalizione con la speranza di superare la soglia di sbarramento ed eleggere uno sparuto gruppo di parlamentari che risulti decisivo per gli equilibri del prossimo governo.

Nessuna novità si registra invece a proposito del voto della minoranza serba che ha diritto a eleggere dieci parlamentari nel monocamerale kossovaro. In questo caso il dominio della Lista Serba, appoggiata da Belgrado, resta indiscusso.

Il Kosovo sembra essere arrivato a un bivio. Da una parte la vecchia classe dirigente che in questi anni si è trincerata dietro grandi temi, come il rapporto con la Serbia o la creazione delle forze armate del Kosovo, eludendo i reali problemi del Paese, afflitto dalla corruzione, dalla disoccupazione, da un welfare pressocché inesistente. Dall’altra delle forze politiche che esprimono una nuova leadership, l’unica con un programma credibile di riforme, al netto degli eccessi di Kurti, l’outsider puro, che almeno in questa fase sta mostrando maggiore moderazione. Le elezioni di domenica ci diranno se il Kosovo è pronto al cambiamento o se continuerà a muoversi nel solco di una strada già battuta.