Nel giugno del 1899 Vasilij Kandinsky, ancora studente di giurisprudenza, fece un lungo viaggio nel territorio del Komi che come scrisse poi nelle sue memorie, gli cambiò la visione del mondo e influenzò la sua arte. La repubblica Komi si trova a un migliaio di chilometri a nord di Mosca ma il popolo Komi non è di origine slava, appartiene al ramo permiano dei popoli Finno-Ugrici. Fino al periodo sovietico la sua popolazione era concentrata nel sud della regione – intorno all’attuale capitale Syktyvkar – con un clima relativamente più mite rispetto al nord che confina con il Polo nord.

Le cose mutarono dopo la rivoluzione russa. Le grandi foreste e il potenziale minerario fecero diventare Komi oggetto di colonizzazione durante il periodo staliniano: centinaia di migliaia di oppositori politici, prigionieri di guerra, cittadini di diverse nazionalità furono costretti ai lavori forzati nei lager, al fine di sfruttare massicciamente le risorse naturali della regione. Un crudele esperimento di ingegneria sociale che costerà la vita via fucilazioni e stenti, anche in questa regione, a migliaia di persone.

Quante furono le vittime? «Difficile dirlo» ci dice Anatolis Smilingis, lituano, uno dei pochi testimoni ancora vivi che a questi lager sopravvisse. Anatolis ha 92 anni, cammina retto e veloce e si ricorda tutto. Dopo essere stato rilasciato nel 1956 è rimasto qui a vivere facendo il maestro elementare e raccontando, quando dalla perestrojka in poi divenne possibile, questa immane tragedia. Entriamo nel paesino di Adzerom a 20 minuti di macchina dalla capitale. «In questa foresta ci sono dieci cimiteri dove venivano sepolti i deportati. Guardate questi rigonfiamenti della terra, sotto ci sono persone…» e inevitabilmente qualche lacrima gli solca il viso.

«In primo luogo fucilarono i comunisti dissidenti russi e quelli stranieri del Comintern durante il grande terrore del 1937-1938. Poi seguirono gli altri…» dice Anatolis.

Nella repubblica Komi venne deportata gente di ogni nazionalità, 47 dicono le statistiche.

Erano prigionieri di guerra tedeschi e rumeni, ebrei e «controrivoluzionari» estoni, lituani, polacchi. «Oltre quella strada – indica Anatolis – erano stati raccolti i cinesi e i coreani: quella zona del Gulag veniva chiamata Shangai». «I musi gialli» erano soprattutto piccoli commercianti che negli anni ’30 avevano superato il confine sovietico per vendere alimentari ed erano incappati nei soldati russi. Ci mostra anche la prigione del lager, una grande casa di legno ancora in piedi e abitata da una famiglia, dove venivano torturati e uccisi i reclusi «indisciplinati» o i fuggitivi. «Anche gli edifici della direzione del lager sono ancora al loro posto e ospitano un asilo» sostiene il vecchio deportato.

ALL’INIZIO DEGLI ANNI 2000 alcuni amministratori locali pensarono di sviluppare nel Komi una sorta di «turismo del ricordo» che potesse portare qui visitatori da tutto il mondo. Non se ne fece nulla e anzi oggi, con il risorgente recupero dello stalinismo in chiave nazionalista si sostiene persino che «un tale turismo sarebbe immorale» afferma Igor Bobrakov, da anni animatore della locale sezione della fondazione «Memorial», impegnata dal 1992 a far conoscere la storia della repressione politica in Urss. Un compito gravoso: un recente sondaggio ha segnalato che il 70% dei giovani russi non conosce nulla di questa pagina drammatica della propria storia.

Syktyvkar in qualche modo va un po’ controcorrente. Qualche mese fa è stata aperta in città un’associazione dedicata a Revolt Pimenov uno dei più coriacei dissidenti sovietici del secondo dopoguerra e matematico di fama mondiale che collaborò con Andrey Sacharov e Stephen Hawking. Qui si ritrovano e organizzano iniziative di giovani e non, fuori dai circuiti mainstream: oppositori liberali e femministe, attivisti sindacali e cantautori di strada. «La città è cresciuta molto negli ultimi anni a causa della deindustrializzazione diventando il fulcro della vita sociale di tutta la repubblica – racconta Aliona, giovanissima ed entusiasta animatrice del centro Pimenov – e noi rappresentiamo un pezzo di questa dinamica».

DAL 2018 SYKTYVKAR è diventato anche il centro di un movimento contro la grande discarica che il governo russo vorrebbe costruire a Shyes. Questo agglomerato di casette di legno è da sempre una piccola comunità di cacciatori e pescatori che vive nelle vicinanze della fermata ferroviaria omonima nella provincia di Archangelsk, ma a soli 90 chilometri dalla capitale del Komi. Shiyes è un’oasi naturale meravigliosa, distesa su un altopiano paludoso da cui sfociano 150 torrenti nei fiumi che alimentano il Mar Bianco.

Il clima qui non è clemente ma l’aria è fresca e pulita. A Shyes vive gente povera ma orgogliosa: quando ha saputo che la spazzatura accumulata a Mosca da anni sarebbe stata depositata vicino alle loro abitazioni, si è ribellata. Nell’agosto 2018, la prima protesta contro la discarica attirò 2mila persone, la metà di quelle che vivono in queste zone. Poi il movimento non si è più fermato. Lo scorso giugno un happening di protesta nella capitale del Komi ha attirato 70mila persone in una città che ne conta 250mila. «Ma tutti i giorni il movimento combatte la sua battaglia all’ingresso del deposito con picchetti e manifestazioni e i furgoni dell’azienda che ha vinto l’appalto per la costruzione della discarica si ritrovano spesso le gomme dei propri autotreni bucate», «È una lotta per la vita» dice Anina attivista del movimento nel Komi. «Il governo di Mosca ha in programma di macinare la spazzatura indifferenziata della capitale, comprimerla, avvolgerla in polietilene e conservarla qui» sostiene Anina. Le spedizioni includeranno rifiuti e alimenti altamente pericolosi che si decompongono senza ossigeno ed emettono gas tossici come acido solfidrico e metano». «Ma non vinceranno, questo glielo garantisco» dichiara decisa la ragazza.