I duecento peshmerga inviati dal Kurdistan iracheno arriveranno a Kobane la prossima settimana, armati con fucili automatici, mortai e lanciarazzi. Passeranno, come previsto, dalla Turchia. Intanto a gongolare, ma solo per qualche ora, era stato il presidente turco Erdogan che ieri aveva annunciato l’arrivo nella città curda siriana di 1.300 combattenti dell’Esercito Libero Siriano, a difesa della comunità sotto assedio, dopo un accordo siglato con il Partito di Unione Democratica (Pyd).

Un punto per Ankara: da tempo le autorità turche premono per dare ulteriore sostegno alle opposizioni siriane anti-Assad, nell’obiettivo dichiarato di far cadere il governo di Damasco. Una presenza così ingente in un fronte caldo come Kobane risolleverebbe le sorti del braccio armato della Coalizione Nazionale e, allo stesso tempo, indebolirebbe il ruolo del Pkk nella regione di Rojava.

Ma così non è. Subito è giunta la smentita da parte del Pyd: «Abbiamo avviato una comunicazione con l’Els ma nessun accordo è stato raggiunto – ha detto il leader del partito kurdo, Saleh Muslim – Ci sono già gruppi legati all’Els a Kobane. Politicamente non abbiamo obiezioni, ma se davvero vogliono essere d’aiuto, dovrebbero aprire un secondo fronte contro l’Isis in Siria». Ovvero a nord, dove lo Stato Islamico ha assunto il controllo del corridoio che da Aleppo arriva a Raqqa.

Ma Muslim si spinge oltre e accusa la Turchia di sostenere lo Stato Islamico per aver permesso il passaggio di 120 miliziani la scorsa settimana in territorio siriano. Un’accusa che Ankara ha sempre rigettato, seppur sia da più parti considerata responsabile di non aver mai voluto impedire – in quattro anni di guerra civile siriana – il movimento dei gruppi islamisti, ritenuti la migliore arma contro Damasco.