I miliziani dello Stato Islamico entrano a Kobane con i carri armati. Un’ulteriore prova di forza, se mai fosse stata necessaria. E mentre la città curda nel nord della Siria è ad un passo dalla caduta, Washington e Londra fanno notare – a chi non se ne fosse accorto – che i raid aerei non bastano e la Turchia sottolinea che è irrealistico pensare che possa intervenire via terra da sola.

Ormai le milizie di al-Baghdadi controllano oltre un terzo della comunità al confine turco, dopo tre settimane di assedio, oltre 400 morti e 160mila profughi: «L’Isis ha in mano oltre un terzo di Kobane – fa sapere l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani – Tutta la parte est, una piccola parte a nord est e un’altra a sud est». Secondo le milizie curde sul posto, nella notte i jihadisti hanno occupato altri due distretti della città.

Circondata e invasa su un fianco, mentre proseguono gli scontri casa per casa con i combattenti curdi rimasti a difesa della città. Continuano anche i bombardamenti aerei della coalizione, ma servono a ben poco. E gli Stati uniti lo sanno bene. Ieri il portavoce del Pentagono, il maggiore John Kirby, lo ha candidamente ammesso: «Dobbiamo prepararci all’eventualità che altri villaggi e città saranno presi dall’Isis. Kobane potrebbe essere presa. Dobbiamo riconoscerlo. Stiamo facendo quel che possiamo dal cielo per cercare di fermare l’avanzata dell’Isis. Ma la potenza aerea da sola non è abbastanza a salvare la città».

Sarebbe necessario un intervento di terra, vista l’estrema adattabilità dell’Isis al cambio di strategie militari occidentali. Obama, che non intende inviare neanche un marine come ha ricordato Kirby, fa pressioni sulla Turchia: attacca tu. È una corsa allo scaribarile, figlia delle divisioni interne allo stesso fronte anti-Isis, che ad oggi facilita solo lo Stato Islamico. Alle richieste statunitensi la Turchia, sempre più timorosa di rafforzare indirettamente la resistenza curda (Pkk in primis), risponde con un «no, grazie»: «È irrealistico aspettarsi che la Turchia guiderà un’operazione di guerra da sola», ha detto ieri il ministro degli Esteri Cavusoglu durante la visita ad Ankara del segretario generale Nato, Jens Stoltenberg.

La dichiarazione giunge mentre proseguono le proteste nel paese da parte della comunità curda, a sud, nella capitale Ankara e a Istanbul: nella notte tra mercoledì e ieri, nonostante il coprifuoco imposto nelle città curde a sud est, gli scontri tra polizia e manifestanti hanno provocato altre vittime, facendo salire il bilancio totale a 25. Cento poliziotti ieri sono entrati nel campus dell’università di Ankara e hanno disperso gli studenti che protestavano: lacrimogeni, idranti e 25 arrestati, tra cui 5 professori.

Si torna allora a puntare sulle opposizioni moderate al presidente Assad: il Pentagono lamenta l’assenza di «un partner capace e volenteroso in Siria» e ventila l’ipotesi di usare come truppe di terra miliziani del posto, forse quei 5mila che la Casa Bianca addestrerà ed armerà secondo il piano approvato dal Congresso il mese scorso. Ma ci vorranno ancora dai tre ai cinque mesi soltanto per procedure e protocolli e i dubbi restano: finora molte delle armi inviate ai gruppi moderati anti-Assad sono transitate per diverse vie all’Isis.

Dall’altra parte del confine le truppe di terra dovrebbero essere quelle irachene, ma la poca preparazione e l’avversione delle comunità sunnite per una forza esclusivamente sciita si traducono in scarsa efficacia sul terreno. I settarismi interni sono il maggiore ostacolo che il governo al-Abadi è costretto ad affrontare: ieri l’ennesimo attentato ha ucciso 12 persone e ne ha ferite 33. Una bomba è esplosa vicino ad un café a Sadr City, distretto sciita di Baghdad e roccaforte del leader religioso Moqdata al-Sadr.

Dalla Siria giungono invece notizie sul frate francescano Hanna Jallouf e i venti fedeli fatti prigionieri domenica scorsa dal Fronte al-Nusra, gruppo qaedista anti-Assad e neo-alleato dell’Isis. Sono stati tutti rilasciati per essere posti agli arresti domiciliari nel convento nel villaggio di Qunyeh, a nord ovest. I domiciliari sarebbero stati comminati da una corte islamica locale, perché – riporta la Custodia di Terra Santa – padre Jallouf è accusato di cooperazione con Damasco.