Ieri un coro di ragazzi e ragazze, sul canale televisivo curdo Med Music, cantava per Kobanè, per i combattenti che difendono la città assediata da più punti dai miliziani dello Stato Islamico (Isis). E i guerriglieri curdi delle forze di autodifesa Ypg resistono all’avanzata dei jihadisti, smentendo chi aveva annunciato troppo presto la caduta di Kobanè. Da queste parti non ha fatto particolare rumore la decapitazione di Alan Henning. Non si ha tempo per seguire le notizie, si lotta senza sosta per evitare nuovi massacri di massa da parte dei jihadisti. Nella notte tra venerdì e sabato, dopo alcuni raid aerei della “Coalizione anti-Isis” contro postazioni degli assedianti, i combattenti delle Ypg hanno recuperato parte del terreno perduto e ieri controllavano ancora la città. Kobanè però resta in pericolo, gli scontri sono sanguinosi soprattutto sulla collina di Mishtenur. I mortai e i cannoni dell’Isis continuano a colpire la città, da tre lati. I jihadisti stanno ammassando forze fresche per l’assalto decisivo.

 

Salih Muslim, co-presidente delle Pyd, giunto a Copenaghen per incontri diplomatici, ha assicurato che la città non cadrà. Ha spiegato – riferisce il sito ReteKurdistan.it – che la pressione dei jihadisti, con varie sigle, sul distretto di Kobanè va avanti da due anni e che le forze delle Pyd sono riuscite sempre a difendere le posizioni. Poi, ha aggiunto, «alcuni Stati» ha reclutato l’Isis per mettere fine all’autogoverno curdo e al sistema democratico nel Rojava (il Kurdistan siriano). «Abbiamo costruito un sistema che riconosce differenti fedi – ha detto Muslih – i diritti delle donne e le lingue madri di popoli diversi…ciò non sta bene a quegli Stati …che hanno cercato assassini mercenari e l’Isis faceva al caso loro». Riferendosi al via libera del Parlamento turco ad incursioni militari in Siria e Iraq, Muslih ha lanciato un avvertimento: «Se verranno fatte azioni dannose a comunità, ci sarà una reazione dura. Stanno parlando di una zona cuscinetto. Noi diciamo che c’è un’amministrazione nel Rojava. Considereremo ogni azione intrapresa senza consultare questa amministrazione come un’occupazione e ci opporremo».

 

Il nodo resta l’atteggiamento della Turchia che da un lato sostiene di partecipare alla lotta contro l’Isis e dall’altro non ha alcun interesse a fermare i jihadisti che assediano Kobanè. L’ambiguità del leader turco Erdogan è stata messa nudo da un comunicato del Consiglio direttivo centrale del Partito democratico dei popoli (Hdp): «La Turchia, che ha il controllo del nord di Kobanè – l’unico lato che non è sotto assedio dell’Isis -, impedisce a qualsiasi aiuto di raggiungere la città», quindi ai combattentti curdi del Pkk di unirsi alla difesa della città. Il ruolo di Erdogan è stato spiegato addirittura dal vice presidente Usa Joe Biden. Parlando l’altro giorno all’Università di Harvard, Biden ha detto che la Turchia, l’Arabia Saudita e gli Emirati hanno sostenuto in Siria organizzazioni terroristiche perchè il loro scopo era quello di rovesciare il presidente Bashar Assad e così facendo hanno contribuito a far scoppiare la guerra tra musulmani sunniti e sciiti. Parole alle quali Erdogan ha reagito con rabbia. Le parole di Biden non fanno altro che rivelare pubblicamente quello che era evidente da anni. Allo stesso tempo il vice presidente americano avrebbe dovuto anche riconoscere che gli Stati Uniti sapevano e non hanno fatto nulla per fermare gli “alleati”. Anzi, attraverso le riunioni del gruppo “Amici della Siria” hanno prima segretamente e poi apertamente dato il via libera alle forniture di armi ai ribelli anti-Assad che poi, in parte, le hanno vendute o consegnate ai jihadisti.

 

Ribelli e forze governative siriane intanto, all’ombra dei raid aerei della “Coalizione” sull’Isis, si preparano a cogliere tutte le occasioni favorevoli sul terreno. L’Esercito di Assad – il presidente siriano ieri è riapparso in pubblico in occasione della festa islamica dell’Eid al Adha – ha ripreso il controllo di villaggi strategici nei pressi di Aleppo. L’Els (la milizia dell’opposizione) invece cambia tattica e porta l’attacco nelle regioni siriane più “fedeli” a Damasco. Con i ribelli, riferisce il sito dell’opposizione Zaman al-Wasl, scenderà presto in campo la neonata “Alleanza delle tribù sunnite”, composta in maggioranza da membri dei clan allargati Al-Mawali e Al Hadedeen.