«Ricordiamoci di Srebrenica, Vukovar, Ruanda, Halabja, Shengal… Se non vogliamo che si ripeta a Kobane, dobbiamo agire ora». Oggi, in tutte le piazze in cui si manifesta il sostegno al popolo kurdo, il Congresso nazionale del Kurdistan (Knk) distribuisce un opuscolo informativo che chiama direttamente in causa la responsabilità di ognuno. Al riguardo, abbiamo parlato con Yilmaz Orkan, membro del Knk, reduce anche dall’Incontro mondiale dei popoli voluto da papa Francesco.

L’impegno del movimento kurdo incontra una mobilitazione crescente anche in Italia. Oggi vi sono presidi e manifestazioni in molte città. Con quali obiettivi?

È urgente l’apertura di un corridoio umanitario tra la Turchia e il Rojava. Si deve contrastare l’appoggio logistico e militare di Turchia, Qatar e Arabia Saudita all’Isis, ci dev’essere il riconoscimento ufficiale della regione autonoma democratica in Rojava e la cancellazione del Pkk dalle liste delle organizzazioni considerate terroristiche. Inoltre, proponiamo una coalizione popolare internazionale che sostenga attivamente la resistenza di Kobane e la sopravvivenza del suo popolo, anche attraverso la raccolta di fondi e medicine, l’invio di operatori sanitari volontari e di osservatori umanitari a Suruç, città kurda in territorio turco ove sono accampati i profughi di Kobane. Per questo facciamo appello alle realtà sociali, ambientali, sindacali, politiche e all’intera cittadinanza.

Qual è ora la situazione dei kurdi in Siria?

Dal 19 luglio 2012 hanno preso gradualmente il controllo della regione del Rojava e hanno messo in pratica il sistema dell’autonomia democratica federale creando tre cantoni e proclamando un sistema politico e un’ amministrazione fondata su un contratto sociale: basato sull’ autodeterminazione dei popoli, la loro convivenza pacifica, la libertà di espressione e la partecipazione democratica. Il Rojava sin dall’inizio della guerra civile è stato attaccato sia dal regime siriano che dai gruppi jihadisti. Le forze di difesa del popolo (Ypg) e le forze di difesa delle donne (Ypj) hanno garantito la sicurezza della regione. La regione è stata sottoposta a embrago da parte dei paesi confinanti. Però il cantone di Kobane dal 15 settembre è stato assediato dall’Isis, i 400.000 abitanti della città di Kobane sono dovuti fuggire e ora sono rimaste in città solo le forze di autodifesa composte da circa 20.000 persone. Negli ultimi giorni l’Isis sta cercando di circondare completamete Kobane attaccando anche da nord. La resistenza continua.

E come vanno le cose per il movimento in Turchia?

In Turchia la popolazione sin dall’inizio dell’attacco a Kobane è scesa in piazza per protestare e sostenere la resistenza, e il governo ha represso le manifestazioni in maniera violenta uccidendo più di 50 persone e prendendone in custodia cautelare circa 2.000. Molte persone sono state arrestate e torturate durante la custodia cautelare. Inoltre l’aviazione turca ha interrotto il cessate il fuoco bombardando la regione di Hakkari. A Suruc, al confine con Kobane, ci sono più di 200.000 profughi. La popolazione kurda e le municipalità delle città kurde hanno allestito dei campi e coordinato gli aiuti umanitari, nonostante questo mancano beni di prima necessità e soprattutto medicinali, medici e personale sanitario. Dall’inizio dell’attacco dell’Isis è in corso una vigilanza permanente per controllare e documentare il comportamento dell’esercito turco al confine che impedisce il passaggio di aiuti umanitari e dei profughi kurdi mentre fa passare i terroristi dell’Isis e le loro armi.

C’è ancora speranza per il processo di pace e per la libertà di Abdullah Ocalan?

Il processo di pace attualmente è in un momento di stallo, lo stato turco non ha compiuto nessuno dei passi concreti di cui si era parlato durante i colloqui con presidente Ocalan, ha sostenuto e sostiene apertamente l’Isis e ha interrotto il cessate il fuoco. Il governo turco ora è concentrato su Kobane, ne aspetta la caduta. Anche per questo ci sono state forti proteste alle quali il governo turco ha reagito con la violenza e gli arresti e sospendendo il dialogo con Ocalan.

Qual è la soluzione proposta dal movimento kurdo per cambiare le cose a livello internazionale?

Per la prima volta negli ultimi cento anni, dopo il massacro di Sengal è con l’attacco di Kobane da parte dell’Isis che l’opinione pubblica internazionale ha iniziato a discutere del problema kurdo. Per cambiare le cose a livello internazionale in primo luogo è necessario riconoscere l’autonomia del Rojava e interrompere la persecuzione dei kurdi e del loro movimento di liberazione a livello internazionale, e appoggiare il progetto proposto dal presidente Abdullah Ocalan di confederalismo democratico e riconoscere il popolo kurdo e il suoi diritti collettivi.