La data delle presidenziali ucraine è fissata da settimane: s’andrà al voto il prossimo 25 maggio, sintonizzandosi simbolicamente con il fuso elettorale dell’Ue, alle prese in quello stesso giorno con la tornata che rinnoverà l’emiciclo comunitario.

Diverse comunque sono le incognite che ammantano di incertezza l’appuntamento. Intanto va capito che succederà nei prossimi giorni sul terreno. Che farà la Russia? Come risponderà Kiev? Se la tensione supererà ogni limite il voto potrebbe essere spostato in avanti.

In ogni caso, benché l’urgenza del momento concentri l’attenzione su altri piani rispetto alla campagna, ufficialmente aperta ma nei fatti inesistente, il voto è nella testa di tutti. A partire da Vitali Klitschko e Dmytro Yarosh, gli unici che finora hanno manifestato l’intenzione di correre.

Klitschko ha un discreto potenziale, come dimostra un recente sondaggio che gli attribuisce il 14%, bottino che potrebbe garantire il ballottaggio. Senza contare che alle politiche del 2012 il suo partito centrista (Udar) fu tra i gruppi politici radicati a ovest quello che riuscì a ottenere più voti a nel fianco orientale del paese, riserva di caccia del Partito delle regioni.

L’ex pugile scommette forte sul 25 maggio. Il futuro e pressoché scontato passaggio al parlamentarismo rende la carica di capo dello stato meno influente. Ma le presidenziali sono comunque il primo grande banco di prova elettorale dopo la rivoluzione. Diversi analisti ritengono che la mancata partecipazione di Klitschko al governo, sostanzialmente un bicolore tra il partito della Tymoshenko (Patria) e gli ultranazionalisti di Svoboda, ritoccato con alcuni innesti tecnici e di Euromaidan, sia da spiegare proprio in funzione della partita presidenziale. Klitschko non vorrebbe sporcarsi le mani con i provvedimenti economici dolorosi – come ammesso dal primo ministro Yatseniuk – che verranno presi per agganciare i prestiti dell’Europa e del Fondo monetario.

Potrebbe essere premiata, questa scelta. Anche se Klitschko sconta due debolezze. Da una parte il suo partito, fondato nel 2010, non è così strutturato sul territorio. Dall’altra il suo zoccolo duro è l’elettorato giovane, non sempre così propenso a infilare la scheda nell’urna.

Sebbene abbia annunciato di non volere alcuna carica, Yulia Tymoshenko potrebbe candidarsi. Se lo facesse avrebbe più chance di quelle che i sondaggi le assegnano. La Tymoshenko è l’unico, vero animale politico d’Ucraina. Sa cambiare pelle, a seconda delle circostanze. Sa trattare e tessere con disinvoltura. Essendo di Dnepropetrovsk (centro-est del paese) e avendo già dimostrato di sapersi sedere al tavolo con Putin potrebbe in qualche misura rassicurare chi prova sentimenti filorussi. Ma altri pensano che, dato che Euromaidan non la gradisce, potrebbe spostarsi su posizioni ancora più di destra (Patria ha cromosomi conservatori) e corteggiare il nazionalismo più radicale. Comunque non si sa, non ancora, se si tufferà nella mischia.

Uno che potrebbe piacere sia di qua che di là dal fossato è Petro Poroshenko, molto su nelle rilevazioni. Oligarca, è tra i soci fondatori del Partito delle regioni. Poi è passato alla corte dell’ex presidente Yushchenko, che lo nominò a capo del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa. È stato ministro degli esteri con la Tymoshenko e in questi mesi ha sostenuto la causa di Euromaidan. Ma nel 2012 è stato anche ministro con Azarov, lo scudiero di Yanukovich. Insomma, sa muoversi tra le righe. Dal momento che è un oligarca potrebbe inoltre riscuotere il consenso dei suoi pari. I loro soldi, che spostano e comprano preferenze, sono assieme alla manipolazione dell’emotività uno dei pilastri della “tecnologia del voto”. Tra l’altro i tycoon temono molto la Tymoshenko (che nasce come oligarca): hanno paura che voglia fare piazza pulita.

Ma Yarosh? Quante carte ha il capo del Settore destro, il gruppo paramilitare, di pensiero estremista, che ha combattuto con le armi contro Yanukovich? Bene che vada prenderà il 5%, sostengono i politologi. Ma l’operazione che vuole intraprendere è un’altra. Come annotato dal New York Times, Yarosh punta a prendersi tutta l’ampia nicchia del nazionalismo radicale, sfruttando il vuoto che Svoboda, istituzionalizzato dalla partecipazione al governo e alla ricerca della definitiva trasformazione in destra sociale, potrebbe aprire.

Resta da capire come si muoverà il Partito delle regioni. È in fase di ricostruzione e ripensamento, dopo il crollo del regime Yanukovich. L’eredità del deposto presidente è una pesante zavorra, ma la polarizzazione del paese potrebbe dare un po’ di benzina al candidato del partito. C’è chi mormora che sarà Sergei Tigipko, uno che ha la fama di pragmatico e pensa che l’Ucraina debba avere buoni rapporti sia con l’Ue che con la Russia.